«Ccu llu parmu e lla chjicatura»: come dirla con un po’ di Schopenhauer
3 min di letturaPremesso che il filosofo tedesco sosteneva già da tempo che con l’eliminazione del diritto del più forte si sarebbe introdotto il diritto del più furbo, il nostro adagio lametino ben riposerebbe, allora, sugli allori di una dotta giustificazione
Non fa specie trovarselo, seppure con qualche variante, all’albo pretorio di qualche Comune siculo, come mi è capitato, per caso, quando l’ho intercettato, sorridendoci pure sopra: «L’assenteismo regna sovrano. Eppure, si gloriano di gestire il nostro paese senza riscuotere indennità di carica. Come dire: amministriamo (si fa per dire!!!) senza percepire indennità ma recuperiamo altrove “cu lu parmu e la gnutticatura”».
Un bel raggiro, insomma, a dirla in soldoni: non c’è dubbio che i corrotti in genere siano dei tipi furbi e sappiano portare avanti con destrezza, con cortesia e anche con i guanti di seta i loro affari disonesti. Se dovessi paragonare questo modus operandi ad un mito, penserei subito al cavallo di Troia, senza alcun indugio, ci starebbe appieno!
Ma dalle nostre parti qual è il significato di questa espressione? Il suo uso e la sua motivazione, poi? Intanto, lo si dice di una persona che opera col deliberato proposito di conseguire uno scopo machiavellico di discutibile liceità. Il modo di dire si ricollega al fatto che certi negozianti, in passato, quando vendevano merce (stoffa, fettuccia, legacci et similia), che di solito, misuravano col pollice, aggiungevano, per lasciare soddisfatti i clienti, la misura corrispondente alla piegatura del pollice (cm 1, 5 circa, ᾿nu parm’e lla chjicatura, “un palmo e la piegatura del pollice”, per l’appunto!).
Quella costituiva, di solito, una parte aggiuntiva, un sovrappiù, che veniva dato, come efficace strategia di mercato: con il palmo e in più la piega a soddisfazione della clientela, e la notizia girava, un po’ come fanno le pubblicità di oggi. Vetrine generose da passaparola, bella trovata: funzionava, senza bisogno di volantini, assolutamente!
L’uso traslato della locuzione successivamente ha stravolto un po’ le regole del gioco: perché? Semplice: si è passati sul piano dell’abbindolamento e del raggiro bello e buono.
Te la fanno davanti con i crismi della credibilità, mentre bevi le idiozie senza rendertene conto: è vero che «ccà nisciuno è fesso», ma abboccare e farsi irretire non è difficilissimo; benché «haud facile astutus fallit astutum» (trad.: non è facile che il furbo inganni un altro furbo), valla a trovare questa congiuntura felice! Morale della favola? Spesso si è becchi e bastonati, come nella favola Le cocu battu et content di La Fontaine.
Dal mio canto, posto che un c’è «nu parmi i niattu», ritengo che la furbizia sia solo un surrogato truffaldino dell’intelligenza: laddove dovesse riscuotere più credito, certamente quella di converso otterrebbe più successo.
La consolazione è filosofica: Boezio avrebbe risposto in questo modo, senza se e senza ma!
Ringraziando Luciana Parlati ed Ippolita Luzzo per le intuizioni e suggestioni su cui ho lavorato per questo modesto scrittarello.
Prof. Francesco Polopoli