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«Chini si fha gabbu du mia dùalu, quandu ‘u miu è viacchjiu ‘u sua è nùavu»

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«Chini si fha gabbu du mia dùalu, quandu ‘u miu è viacchjiu ‘u sua è nùavu»

«Chi se la ride del mio dolore, quando il mio è vecchio, il suo è nuovo»: la sapienza popolare mette in guardia chi «si preja», ovvero «gioisce della malasorte altrui»

C’è chi definisce questo d’animo “Schadenfreude”, un sentimento speculare all’invidia. Comunque sia, il male torna sempre, con effetto boomerang, al di là del fatto che la ruota non gira mai allo stesso modo e per sempre.

Circola tra la gente di Sambiase – in una glossa riportata dal compianto dialettologo Santo Sesto – una quartina, che è da considerarsi una parodia dell’invocazione del profeta David e che dice sommariamente così: «O misireri mia, cà ‘nterra catti!/ Alla cadùta mia, ridìru tutti; / ma s’ancùna vota gìranu li carti, / quandu ridu iu, han’ ‘i ciangìri tutti», cioè «Oh, miserere di me, ché a terra caddi! Alla caduta ch’io feci risero tutti, ma se qualche volta gireranno le carte, riderò io e piangeranno tutti». Non a caso «chi sputa ‘n cìalu ‘n faccia torna», come a dire che dietro al Cielo ci sta l’occhio vigile dell’Altissimo che tutto vede da lassù, prima di Re-agire con la sua legge Sovrana: tutto ciò me lo trovo riassunto in un credo lametino intriso di paganesimo e cristianità pura, spalmato tra formule imprecative e devozioni cattoliche.

Si dice che Dio «‘un paga llu sàbatu» («Dio non paga il sabato»), per significare che il castigo meritato dai manigoldi giungerà, prima o poi, ineluttabilmente.

Quindi, attenzione! Anzi, è proprio ottusa questa bieca soddisfazione: rimanendo nel selciato dei nostri detti più antichi, è «‘na cuntintizza ‘nsuannu» («una contentezza in sogno»), cioè una felicità inconsistente, irreale, fatta di nulla; talvolta, se non spesso, imbocca venti contrari, visto che «‘u bontempu e ‘u malutempu nun duranu tuttu ‘u tempu» e, poi, quando tocca a chi precedentemente se l’è spassata, allora sì che sono guai, ahi ahi ahi!

Prof. Francesco Polopoli

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