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Come mandare «al diavolo!» nel dialetto lametino

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Come mandare «al diavolo!» nel dialetto lametino

Quando ci si congeda da una persona con modi bruschi, mandandola a farsi friggere, siamo soliti, nel nostro vernacolo, utilizzare le espressioni più pittoresche

«Va’ scurìna citròla!», «Vai a tagliare garzuoli di cetrioli!»: un modo di dire semplice e sbrigativo che si adopera – come l’altro «ma va ‘a spàraci»! («Ma vai a raccogliere asparagi!») – per mandare uno al diavolo. E non finisce qui, come diceva lo storico matador de la Corrida italiana, Corrado Mantoni.

Ad esempio, si dice pure «va’jòca alli stacci!» («Vai a giocare alle piastrelle!»): locuzione, questa, che si adopera con riferimento ad una persona che abbia dato prova di scarsa maturità intellettuale e che, per tale motivo, dovrebbe ritornare ai giuochi dei fanciulli, incominciando, appunto da quello delle piastrelle.

Ancora, per chiudere il cerchio: «va’ nchjàcca licèrti!» («Vai a catturare lucertole!»): spassoso detto no-stranissimo di cui la gente comune faceva uso scherzosamente per mandare a carte quarantotto una persona che teneva, nell’agire, comportamenti piuttosto infantili. Noi, forse più sboccatamente, al di là di questi simpaticissimi quadretti popolari, liquidiamo il discorso con il più incisivo “Vaffa”, complice Masini, probabilmente, per gentile sdoganamento all’Ariston di Sanremo. Che dire!?

Un tempo gli «aristoi» omerici erano meno ineleganti: son passati millenni di storia ed il turpiloquio sta diventando altrettanto epico, mi sa!

Preferisco lasciarvi sulle note della bella canzone di Alberto Sordi, un comico italiano tra i più famosi, ormai passato a miglior vita, purtroppo, e che s’intitola appunto: “te c’hanno mai mannato a quel paese”, che in dialetto romano significa “ti ci hanno mai mandato a quel paese?

Solo una riflessione in chiusura: quest’esempio sembra invitare a non essere sordi al bon ton, e qui mi taccio, senza aggiungere altro. Ad meliora….

Ringraziando Rosetta Mascaro per gli interessanti spunti di riflessione.

Prof. Francesco Polopoli

 

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