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Cosenza, sabato 2 settembre inaugurata la mostra dell’A.M.P.I.L

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Insieme ai familiari dei prigionieri saranno presenti la presidente della provincia di Cosenza Rosaria Succurro ed il presidente di A.M.P.I.L. Fabio Trevisan

COSENZA – Il Caporal Maggiore Campolo Antonio, il Caporale Cirillo Pasquale, il Caporale Tringali Emanuele e i soldati Cosenza Salvatore, Cudemo Nicola, Esposito Orlando, Grande Francesco, Morrone Giuseppe, Romanello Francesco e Suriano Giuseppe erano tutti militari originari della Calabria e della Basilicata, e sono stati dieci dei 1.200 militari italiani che dopo la cattura da parte degli Inglesi in Africa durante la Seconda guerra mondiale, vennero imbarcati per l’America e diventarono prigionieri di guerra al servizio degli americani nel deposito militare di Letterkenny, in Pennsylvania, dal maggio 1944 all’ ottobre 1945.

La loro storia e quella dei loro commilitoni inquadrati nelle Unità di Servizio Italiane, è raccontata in una mostra curata dalla giornalista Magni Giorgia, per conto di A.M.P.I.L. (Associazione per la Memoria dei Prigionieri Italiani a Letterkenny) che verrà inaugurata il prossimo sabato 2 settembre alle ore 16.45 negli spazi espositivi di Corso Telesio (ex MAM) a Cosenza.

Insieme a Rosaria Succurro, Presidente della Provincia di Cosenza, saranno presenti i familiari dei prigionieri di guerra della Calabria e Basilicata, il presidente di A.M.P.I.L. Fabio Trevisan e Antonio Brescianini figlio di un prigioniero di guerra e Coordinatore nazionale attività A.M.P.I.L. L’incontro sarà arricchito da interventi musicali a cura del Coro Polifonico Mater Dei di Casali del Manco, diretto dal Maestro Carmela Martire.

L’esigenza di raccontare questa storia ancora poco nota e scarsamente dibattuta a livello pubblico viene dalla singolare esperienza di prigionieri che vissero i militari italiani, catapultati in quella che si può ben definire una “Gabbia d’Oro”. Costretti a stare in America lontani dalle loro famiglie, i soldati erano però impiegati in lavori per i quali ricevevano una remunerazione, avevano tempo libero da dedicare alle proprie passioni o a gite fuori porta insieme a parenti italoamericani o famiglie americane conosciute al campo; potevano giocare a calcio, organizzare recite e spettacoli teatrali, avevano formato una banda musicale che teneva regolari spettacoli, e avevano ottenuto la possibilità di costruire un anfiteatro per le rappresentazioni e una Chiesa che fosse punto di conforto e riferimento spirituale.

Mangiavano regolarmente e tanto, cosa a cui non erano abituati nel loro paese natale, avevano alloggi con acqua calda corrente e uno spaccio interno al campo dove potevano comprare beni di consumo. Chi voleva, poteva studiare e qualcuno addirittura si laureerò durante quei due anni. “Posso dire che quelli furono gli anni più belli della mia vita”. Suona strano, ma questa è solo una delle tante frasi entusiaste che si ritrovano nelle memorie dei soldati italiani a Letterkenny (questa, nel dettaglio, è una riflessione del Soldato Falanga).

“Con questa mostra, soddisfiamo molte richieste delle famiglie della Regione Calabria e Basilicata che hanno avuto familiari prigionieri in America. Ognuno di loro esprimono una storia che diventa emozione per i propri cari che lontani da casa, hanno testimoniato valori umani e di solidarietà” così hanno affermato Fabio Trevisan e Antonio Brescianini.

La mostra traccia un racconto storico che, seppur non tralasciando l’aspetto nozionistico e di ricerca, punta molto l’attenzione sui ricordi degli stessi prigionieri di guerra, sulle loro sensazioni, le loro suggestioni, le loro parole e i loro ricordi. “La ricerca storica minuziosa compiuta dal professor Alan Perry e da Flavio Conti in numerosi anni di raccolta materiale, è la base solida su cui poggia questa esposizione – ha spiegato la curatrice Magni Giorgia- Ciò che ho fatto io è stato semplicemente calare questa parte accademica in un contesto fatto di emozioni venute direttamente dalle foto conservate dai prigionieri, dai loro diari, lettere, cartoline, memorie.

Credo che le loro parole siano la testimonianza più efficace per costruire il perimetro entro il quale muoversi per conoscere questa vicenda davvero unica e i legami relazionali che ha lasciato in eredità alle famiglie nel corso del tempo. La scelta di usare una grafica di colori che riprende e sfuma sia quelli della bandiera italiana sia quelli della bandiera americana, è data proprio dalla volontà di affermare il legame ancora solido tra i due paesi e le persone che, da un lato e dall’altro dell’oceano, sono rimaste connesse attraverso questa vicenda”.

La mostra sarà visitabile sino al 24 settembre 2023.

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