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Curinga, la terza domenica di ottobre “A Mmaculata d’a χera”

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“Il mondo cambia, Curinga cambia, ma resta immutabile la voglia di continuare a far rivivere la tradizione delle bettole e del vino bianco nuovo”


Cominciare da troppo lontano nel tempo sicuramente sarebbe un azzardo, quindi confidiamo su delle supposizioni logiche e su quei pochi dati della tradizione che abbiamo e conosciamo.

Il triduo religioso con la fiera cadono a cavallo della terza domenica di ottobre e viene comunemente detta “A Mmaculata d’a χera” per distinguerla dalla solenne festa che si svolge in tutto il mondo l’8 dicembre.

Perché quindi, in questo periodo “strano” questa festa dedicata all’ Immacolata?

Nella perenne lotta di supremazia delle congreghe che esistono a Curinga, (Confraternita Maria SS del Carmelo e Confraternita Maria SS dell’ Immacolata) probabilmente per dare un maggiore risalto alla congrega dell’ Immacolata, questo triduo è stato legato ad una grande fiera autunnale. Questi eventi possono essere nati in concomitanza della fondazione della congrega stessa che risale al 1777.

Sappiamo come le economie, fossero legate a filo doppio al mondo agricolo, basato soprattutto sulla coltivazione della vite, degli ulivi e dall’allevamento degli animali domestici, importantissimi ed essenziali per il sostentamento delle famiglie.

Or dunque, creare una grande fiera l‘ 8 dicembre per la solennità dell’ Immacolata, sarebbe stata a rischio eventi metereologici e forse non sarebbe servita allo scopo che si prefiggeva, cioè mettere a disposizione dei curinghesi merci di ogni genere: terre cotte Argagni (tiesti, mbumbuli,pignati, limbi);oggetti di vimini e canne (cisti, panara, criva);Manufatti in legno ( sieggi, majddi ,casci, pirruocciula, cucchiari😉 oggetti di rame: (coddari, vrascieri, pentole😉 oggetti di alluminio (giarre, stagnati, cannate, misure varie, imbuti) inoltre, utensili per il lavoro dei campi e dell’ artigianato: stoffe, scarpe e gli animali, primi tra tutti il maiale , l’asino, capre, pecore, galli, galline, pucini, conigli ecc…, che entravano a pieno titolo a far parte della famiglia.

I soldi che circolavano nel paese erano veramente scarsi ma nonostante tutto, quello era il momento di acquistare e vendere, farsi venditori e compratori; e si vendeva di tutto, le famiglie mettevano sui banchi le proprie produzioni: lupini, ceci, fagiolifavino, il primo olio e il primo vino. Questi due ultimi prodotti hanno, come vedremo, un’ importanza strategica per l’economia del paese.

La raccolta delle olive iniziava praticamente a fine agosto (scarma d’agustu– si raccoglievano da terra le olive cadute per il caldo o perché toccate dalla mosca) e proseguiva nell’ anno di carica fino a marzo aprile. Per le raccoglitrici di olive e i braccianti, la prima paga del lavoro fatto avveniva in concomitanza della fiera dell’Immacolata, ecco quindi la disponibilità di soldi freschi da poter spendere in fiera o pagare qualche debito contratto. ( Per amor di cronaca le raccoglitrici venivano nuovamente pagate poco prima del Santo Natale e alla fine della campagna olearia.)

Altro fatto significativo e importante, il famoso vino bianco di Salice e di Tremalo. (località votate alla coltivazione della vite)

Credo che Curinga abbia questo primato in Italia , di essere il primo posto dove si beve il vino novello. Le uve vengono vendemmiate a fine agosto o i primissimi giorni di settembre e le botti spumeggianti vengono spillate per la fiera dell’ Immacolata.

La fiera faceva affluire a Curinga centinaia di χerari e migliaia di persone che accorrevano dai paesi limitrofi a fare acquisti. Come bene si intuisce non essendoci macchine, camion, furgoni, gli unici mezzi erano asini, muli e carri. I “commercianti” arrivavano qualche giorno prima per occupare i posti migliori e quindi bivaccavano in paese per più giorni fino al termine della fiera.

Bisognava industriarsi per dare da mangiare a tanta gente, e chi meglio delle bettole potevano offrire un riparo, un pasto caldo e vino a volontà? Oltre alle bettole ufficiali ognuno si adoperava per dar da mangiare ai χerari e alla gente che veniva da fuori. Si arredavano alla meno peggio cantine e magazzini dove il vino bianco ancora bolliva allegro in botti di legno. Si mangiava quello che la natura e la casa offrivano, essenzialmente prodotti di stagione: fagioli con olio nuovo, pipi e patate, olive schiacciate, cugnetto, noci, lupini, ma anche vere e proprie leccornie: baccalà schipieci (con patate, pomodoro, olive nere), baccalà fritto, spezzatino, carne di caprastighiuoli (budella di capra, pecora, agnello o capretto) attorcigliate in una sponza (rametto) di origano, sarde salate e tanto… tanto vino bianco, che continuava la fermentazione nello stomaco dei χerari. Il vino bianco in anticipo su tutti i paesi limitrofi, voleva dire vendere quasi tutta la produzione e ricavare ancora denaro fresco che serviva per le necessità future della famiglia improvvisatasi punto di ristoro.

Il mondo cambia, Curinga cambia, ma resta immutabile la voglia di continuare a far rivivere la tradizione delle bettole e del vino bianco nuovo. E’ forse uno dei modi migliori ancora oggi per conoscerci e riconoscerci, questo stare insieme davanti ad un piatto di fagioli e ad una caraffa di vino bianco.

Ma la fiera non era soltanto vendere, comprare, mangiare, ma era soprattutto incontrarsi, il più delle volte  scontrarsi nei vicoli stretti dove i profumi si facevano intensi e cangianti, ora lo spezzatino che borbottava in un testo di coccio su di una fornacetta a carbonelle, ora quel odore pungente di olio fritto che dorava tranci di baccalà buttati nelle padelle di ferro annerite e incrostate; girato l’angolo, l’odore inebriante del vino che gurguliava allegro nelle caraffe e nei bicchieri, organetti  fisarmoniche, che accompagnavano il canto di gente semplice resa euforica da qualche bicchiere di troppo, l’ abbaiare di qualche cane, il raglio degli asini e dei muli nelle stalle dove non pochi χerari trascorrevano la notte. Profumi intensi… odori strani…mestieri che si intravedevano nelle botteghe scure come “u seggiaru” che aggiustava con la vuda qualche sedia sfondata, u stagnaru che costruiva imbuti lanterne in alluminio e arramava e stagnava coddara e stagnati, u forgiaru impegnatissimo in questi giorni a ferrare muli e ciucci facendogli  una sorta di pedicure tagliando le spesse unghie per adattarle ai ferri nuovi;
bambini che si rincorrevano, bambini che giocavano a nocciole con l’ immancabile e il personalissimo mbaddu, che doveva buttare giù le quattro nocciole aggiustate a monticello totaru;  colori sgargianti di stoffe, sorrisi luminosi di giovani donne, sguardi intensi nell’ attesa di parole sperate, incontri fugaci di giovani adolescenti, passo lento di uomini e donne segnati dalla fatica di tutti i giorni, le  preghiere e i rosari infiniti delle donne anziane difronte alla Madonna dal manto azzurro nella chiesa dell’ Immacolata Illuminata come non mai.

Forse tutte queste immagini ormai restano solo foto sbiadite nei nostri ricordi di tempi lontani, ma vogliono rivelare che il nostro cuore ha bisogno ancor oggi, più che mai, di questa genuinità intellettuale, di questo ancestrale ricordo, che ci fa ancora sperare in un futuro……dove passato e presente rivivono ricordandoci chi siamo e da dove veniamo.

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