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Dal classico al moderno, dal basso in alto: intervista a Francesco Polopoli

3 min di lettura

Prima di tutto: che la canzone sia espressione della tradizione è risaputo. Ma lei ha messo sorprendentemente in relazione la forma più “pop” di musica leggera con la forma più “alta” di classicità….. come ha seguito questo percorso?


Francesco PolopoliNell’antichità non c’era iato tra demos e cultura. Marco Porcio Catone è un esempio di come i saperi senza memoria non hanno gusto: il suo De agri cultura nel lessico rurale sposa i più ed i meno della popolazione.
Il mos maiorum è espressione di una condivisione sociale: non fa specie trovare iscrizioni popolari, in cui il popolo ripete versi di poeti elegiaci dell’antichità come Properzio o Ovidio.
Il minore ed il maggiore nel mondo romano hanno un punto di incontro che è la medieta’.
Orazio, del resto, diceva “in medietate virtus”: ed è lo spunto con cui ho costituito un percorso che facesse della canzone un patrimonio di incontro tra l’alto ed il basso per mettere a fuoco le profondità dell’animo umano.

Che tipo di musica ascolta? Preferisce una musica per rilassarsi o una per impegnarsi a riflettere?

Amo la musica in tutta la sua versatilità. Da quella classica alle canzonette non è mai disimpegno, ma solo espressione. Andrei cauto sui giudizi di merito.
Per fare un esempio immediato, le facezie di Catullo erano “minima” in rapporto alle epopee del mondo antico; eppure, il suo nome è arrivato fino agli ermetici del Novecento, come simbolo della voce più autentica di Roma. Chi avrebbe scommesso allora sulla sua fortuna? La medesima domanda potrei articolarla per un artista musicale del momento.
Il tempo per convenzione seleziona talenti per autenticità: il vate ed il sacerdote maledetto hanno un percorso simultaneo per cicli d’età. Un giorno ricorderemo la filosofia musicale di un Battiato, la poesia orante di Giuni Russo, il maledettismo di Vasco Rossi, la leggerezza luciliana di Francesco Gabbani, etc

Lei ha detto che “il vocabolario è il cimitero della lingua”: in questo senso, la metrica musicale applicata alla canzone italiana soprattutto dà in effetti poco spazio all’innovazione…

il vocabolario è una riesumazione di voci. Già per natura è musica per aspetto fonico. L’innovazione non si slega dalle radici: io ritengo che la canzone sia un genere contemporaneo Delle memorie. Un esempio?
Il rap o un testo, in genere, presentano le stesse figure retoriche di un brano lirico, con scelta di versi che spesso rimano tra di loro. Non ho un vincolo, se mai un’eredità.
Non c’è avanguardia orfana di passato, ma futuro di memorie .

L’insegnamento ideale dovrebbe essere quello eseguito da chi mentre insegna si rinnova e continua lui stesso ad imparare e ad aggiornarsi: a parte lo scriteriato comportamento istituzionale, non è la mancanza di questo tipo di atteggiamento, oggi, che ha portato la scuola italiana dove è oggi?

Lo studio lascia studenti. I corsi di formazione hanno più visione adulta che adolescente. Preferisco intercettare i bisogni degli studenti, per costruire percorsi che arricchiscono vicendevolmente. Dell’insegnare è l’apprendere: banconote letterarie, cortometraggi, pubblicità sono state sfide didattiche, maturate attraverso una relazione educativa. Le loro persone prima, il mio servizio poi.

La musica (come il cinema) è uno strumento d’insegnamento potentissimo per i ragazzi: non crede dovrebbero essere più presenti nei programmi scolastici?

Credo proprio di sì e, tra l’altro, mi batto per questa metodologia che sa coinvolgere interessi e saperi. La musica è patrimonio immateriale dell’umanità, come la fase dell’oralita’ omerica.
Quanto al cinema e al film sono linguaggi multipli di una modernità figlia del dramma antico. Il filo di Arianna collega il tutto: il vero labirinto è la negazione di esperienze affini in affinità.

GianLorenzo Franzì

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