Dialogo tra un viandante ed un alberello
2 min di letturaSembra un’operetta morale del Recanatese mentre, invece, è un botta e risposta tra due interlocutori, di cui uno personificato, ovviamente in vernacolo lametino.
«Bòn truvàtu nobili friscùri, amicu di li mali fatiganti. Pàtrimma ti assistìu fìnca alla morti ed iu t’assistu tramènti campu». Rispundi l’àrvuru: – «Friscu ti pùazzu dari, peròdi, ma non mangiari».
«Ben trovato nobile refrigerio, amico dei buoni a nulla. Mio padre si prese cura di te fino alla morte ed io ti assisto allo stesso modo finché avrò respiro nei polmoni. Risponde l’albero: – Quanto ti posso dare è il fresco, ma non da vivere».
Dal testo emerge che da niente nasce nulla: la natura è benigna per il riparo che può offrire, in questo caso la frescura, ma non ha alcun potere di sopperire all’inattività dell’uomo. Del resto, lo sappiamo dal racconto collodiano di Pinocchio che seppellire monetine sotto un alberello non è una buon’azione, in termini di mercato, anzi un disinvestimento. Apprezzabile è la cura verso le piante: almeno il nostro poltrone avrà concorso ad una maggiore ossigenazione a favore del territorio: impegno civico, come pegno di sopravvivenza collettiva, aggiungo io! Questa favola brevissima insegna che l’inoperosità si vince con l’impegno: è inutile aspettarsi la manna dal cielo e sperare in grosse fortune.
Solo l’uomo è
faber fortunae suae…
così dicono i nostri Classici
Ringraziando mio fratello Smeraldo Polopoli per avermi ricostruito un testo dialettale che sovente recitava persino mio padre Luigi.
Prof. Francesco Polopoli