Enrico Molè, padre costituente di Calabria
6 min di letturaAvvocato, socialradicale, antifascista, padre costituente, ministro della Repubblica, Molè è stato tra i politici più importanti dei primi anni dell’Italia repubblicana.
Enrico Molè nacque a Catanzaro il 7 ottobre 1889 da Francesco, principe del foro del capoluogo bruzio e da Elisa Doria, discendente della nobile famiglia dei Doria di Genova. I Molè erano originari di Polia (VV), dove mantenevano ancora una villa padronale e diverse proprietà agricole e da dove il nonno paterno Enrico spostò la famiglia a Catanzaro a causa della sua carriera in magistratura con la promozione a presidente di Corte d’Appello, dapprima a Catanzaro e poi a Napoli. Molè dunque crebbe in una famiglia alto borghese, facoltosa e ricca, di formazione laica. Espresse da subito un ingegno non comune, tant’è conseguì il diploma di maturità presso il liceo Galluppi a soli 16 anni, e da qui proseguì gli studi in giurisprudenza a Napoli (1907 – 1912).
Nella città partenopea scoprì la passione per il giornalismo collaborando con i giornali Monsignor Perrelli (di taglio satirico) e il prestigioso Il Mattino. Conseguita la laurea, nonostante avesse iniziato il tirocinio presso lo studio legale di Enrico De Nicola (futuro primo Presidente della Repubblica Italiana) decise di dedicarsi al giornalismo, pertanto si trasferì a Milano. Qui s’iscrisse al PSI, e grazie a ciò ampliò le sue collaborazioni ad altre testate giornalistiche quali La Vita (quotidiano romano di tendenze radicali) e per il giornale del PSI, l’Avanti! allora diretto da Claudio Treves.
A Milano conobbe la prima moglie, Josefine Calleja, cantante lirica greca, da cui ebbe tre figli e che lo lasciò vedovo nel 1920, mentre nel 1925 sposò a Vibo Valentia Lucrezia Di Francesco (docente e prima donna a divenire preside in Italia) che le dette altri tre figli.
La carriera politica e l’antifascismo
Iniziò la sua carriera politica candidandosi con il Partito Democratico Riformista a Catanzaro per le elezioni del 1919, che perse, mentre vincerà quelle del 1921 divenendo membro della Commissione Nazionale per i problemi del dopoguerra presieduta dal futuro presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando nonchè segretario del gruppo parlamentare del Partito Socialista Riformista il cui leader era Giacomo Matteotti. Ma la sua candidatura decadde, pare per alcune manovre illecite ordite dai fascisti e nazionalisti. Molè non si scoraggiò e nel 1924 fu rieletto, sempre per il collegio di Catanzaro, nelle liste dell’Opposizione Nazionale, blocco politico avversario del Listone Nazionale creato dal fascista Michele Bianchi dov’erano presenti fascisti e liberali nazionalisti.
Dal 1924 Molè fu contemporaneamente deputato, consigliere della provincia di Catanzaro e giornalista per l’Ora di Palermo e Il Mondo di Roma, quest’ultimo diretto dall’antifascista Giovanni Amendola.
Dopo il delitto Matteotti (10 agosto 1924), Molè in Parlamento denunciò le violenze delle squadre fasciste e aderì conseguentemente allo sciopero dei deputati antifascisti di partecipare ai lavori parlamentari passato alla storia come l’Aventino. Divenne nel fratempo uno tra i fondatori dell’Unione Democratica Nazionale. Mussolini a questo punto gettò la maschera, pronunciò il famoso discorso del 3 gennaio 1925 e varò di conseguenza le leggi fascistissime, una delle quali, quella del 9 novovembre 1926, dichiarò l’elezione di Molè e di altri 122 deputati non fascisti decaduta.
Oltre a perdere lo scranno parlamentare, Molè fu espulso dall’Ordine dei Giornalisti e sottoposto a regime di confino, sicchè decise di ritornare a Catanzaro dove riprese il mestiere di avvocato presso lo studio legale paterno. Molè godette nella sua iniziazione politica del 1919 del sostegno politico della massoneria (Gran Oriente d’Italia).
Molè padre costituente e ministro
Fino al 1942 Molè rimase in Calabria a fare l’avvocato e facendo la spola con la sua famiglia tra Catanzaro e le tenute agricole a Polia. In questo anno decise però di ritornare a Roma per riprendere i contatti con l’esigua opposizione al fascismo ancora presente. Così nel 1943, subito dopo la caduta del regime fascista (25 luglio), fondò con altri il partito Democrazia e Lavoro mentre dopo la liberazione della Capitale (4 giugno 1944) diresse un giornale, L’Indipendente, che dette voce al suo nuovo partito (nel frattempo rinominato Partito Democratico del Lavoro), che seppur esiguo per adesione e consistenza entrò a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale (nato nel 1943) e che fruttò al Molè, nel varo del II governo Bonomi il sottosegretariato agli Interni (1944/45) e nel successivo governo Parri (giugno – dicembre 1945) il ministero dell’Alimentazione, concludendo l’esperienza ministeriale al dicastero della Pubblica Istruzione col I governo De Gasperi ( dicembre 1945 – giugno 1946).
Alle elezioni del 1946 fu eletto per il PDL nel collegio di Catanzaro, divenendo uno dei 23 padri costituenti calabresi in compagnia di altri grandi politici quali, fra i tanti, del comunista Fausto Gullo e del socialista Pietro Mancini. Oltre a presiedere diverse Commissioni (ricordiamo almeno quella per le radio diffusioni e per la Costituzione), Molè si fece notare in questo periodo così importante della nostra storia anche per due battaglie politiche che perse con dignità: la prima fu la sua opposizione alla formulazione attuale dell’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale, che Molè assieme al socialista Ugo La Malfa desiderava fosse espresso con la formula [L’Italia è una Repubblica democratica] «fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro», mentre la seconda battaglia persa fu quella della sua opposizione strenua all’inserimento in Costituzione dell’attuale articolo 7, ciè l’articolo che riconosce il Concordato del 1929 siglato da Mussolini col Vaticano, coerente quindi fino alla fine alla sua formazione areligiosa e al convincimento che le istituzioni repubblicane dovessero essere autenticamente laiche.
Lasciato per incomprensioni politiche il PDL, aderì al Fronte Popolare formato da Comunisti e Socialisti e frapposto ai Democristiani, e dal 1948 divenne senatore di diritto, sicchè venne eletto vicepresidente del Senato. Dal 1950 Molè intraprese un percorso di avvicinamento al PCI che comportò la sua elezione a consigliere comunale a Roma da indipendente con questa formazione politica, mentre fu rieletto, sempre per il PCI, alle elezioni del 1953 e del 1958, avendo sempre incarichi prestigiosi quali, fra i tanti, membro della Commissione speciale per la ratifica degli accordi di Parigi (1954) e della Commissione speciale per l’esame dei trattati sull’Euratom (Comunità europea dell’energia atomica, CEEA) e il mercato comune nel 1957.
La morte e il ricordo postumo
Ritiratosi dalla vita politica attiva il 2 ottobre 1963, morì l’11 novembre dello stesso anno da membro dell’Accademia dei Lincei e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Molè, oltre che giornalista e avvocato fu anche valente scrittore e oratore. Fra le sue opere ricordiamo almeno Dante voce d’Italia nel mondo, prolusione al corso di letture dantesche pronunciata il 10 febbraio 1952 alla casa di Dante in Roma; L’eredità di G. Amendola dall’Aventino alla Resistenza. Orazione ufficiale per l’inaugurazione del monumento a G. Amendola pronunziata in Salerno il 18-10-1953, Roma 1953; La Calabria alla vigilia dell’Unità, s.l. 1961 e Terra di Calabria, s.l. 1962.
A Molè gli è stata dedicata una via a Catanzaro.
M.S.