Evangélion, di luce e di fede
4 min di letturaLamezia Terme, 7 aprile 2017 Teatro Comunale Grandinetti. Per l’ultimo appuntamento con la Stagione di Teatro 2016.2017 organizzata da AMA Calabria con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale in scena Evangélion di Mario Castelnuovo Tedesco con Claudia Koll, voce recitante e il M° Alessandro Marangoni al pianoforte, regia di Stefano Sgarella.
Claudia Koll entra in scena avvolta in abito/kimono nero con ricami floreali rossi impreziositi da paillettes ton sur ton. Sobria e raffinata, si avvicina al leggio e, con eleganza, dà l’abbrivio ad un percorso emozionale ed emozionante accompagnata dalla musica struggente di Mario Castelnuovo Tedesco magistralmente interpretata al pianoforte dal M° Alessandro Marangoni.
28 piccoli pezzi dedicati ai fanciulli che narrano la storia di Gesù di Nazareth dalla nascita alla resurrezione, scritti dal compositore fiorentino di origine ebrea.
Rallegrati piena di grazia… inizia con l’Annunciazione dell’Angelo a Maria la lettura mentre, su un velo di tulle, scorrono immagini di capolavori della storia dell’arte.
E così, attraverso la magia dell’accadimento teatrale Maria, gli angeli, Cristo, i pastori, i Magi, Erode, il Battista, Erodiade e Salomè, la Samaritana, Lazzaro di Betania e le sorelle, il fariseo e la peccatrice, la folla festosa con i ramoscelli di ulivo, i discepoli, Giuda, Pietro addormentato nel Getsemani, le guardie, Pilato e Barabba, la croce e il sepolcro, le donne e il figliuol prodigo evocati dalle note ora solenni, ora tragiche, ora sussurrate o librate nell’aere dalle sapienti mani del M° Marangoni e incarnati nelle parole e nei gesti misurati dell’attrice, quasi strumento nelle mani di Dio, sono convocati sull’altare della scena per essere testimoni, araldi di una tragedia antica e sempre nuova: la speranza del vagito di un bimbo appena nato, lo smarrimento, l’impotenza ma anche la gioia dei semplici e dei poveri di fronte al mistero, il dolore delle madri private dei figli e la crudeltà dei tiranni, la grazia dello Spirito Santo, l’incanto e la seduzione del male, la bontà e la sconfitta della morte, la miseria e la misericordia, la pace e la speranza, il dolore e la sofferenza del giusto tradito e angosciato per l’abbandono degli amici, la forza del perdono e il sacrificio di sé nella morte volontariamente scelta con un Cristo continuamente e dolorosamente dilaniato tra la concretezza del suo essere uomo e la coscienza di dover adempiere a un disegno, a una missione:
Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? / Tu sei lontano dalla mia salvezza! / Sono le parole del mio lamento. / Ti invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo. / A te gridarono e furono salvati, non rimasero delusi. / Ma io son verme, non uomo. / Mi scherniscono quelli che mi vedono, mi circondano tori numerosi. / Come acqua sono versato. / Sono slogate le mie ossa. / Il mio cuore è come cera, di coccio la mia lingua. / Un branco di cani mi circonda. / Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa. / Si dividono le mie vesti. / Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto…
Nella liturgia laica del teatro, Claudia Koll diventa sacerdotessa della parola e “ministrante” del mistero presente nel “detto” della parola stessa, in una lingua ambivalente e continuamente tesa tra l’aulica naturalezza e la scarna e petrosa essenzialità della cultura popolare. Così la sua lettura, carica di pathos ma scevra da qualsivoglia tentazione retorica, è improntata ad una musicalità e ad un ritmo interno che mantiene pulita la scansione sì da giungere pienamente e compiutamente allo spettatore nell’interezza del suo senso e oltre… Un esempio di altissima tenuta interpretativa.
La rigorosa regia di Stefano Sgarella e il sub-codice spettacolare delle luci che si accendono sulle parole, sui gesti, sui capolavori dell’arte universale tra cui la Madonna dell’Annunciazione di Antonello da Messina, L’adorazione dei pastori di Lorenzo Lotto, La Salomè del Caravaggio, Il Cristo morto del Mantegna e Il Cristo di San Juan de La Cruz, L’ultima cena di Leonardo e la Sacra Sindone oltre a dipinti rinascimentali e opere di Picasso e Van Gogh suscitandoli dalle tenebre, trasfondono nello spazio teatrale una profonda spiritualità anche se lo spettacolo, al di là del suo intrinseco valore artistico e della sensibilità dei suoi interpreti, assume un particolare significato in un momento storico come quello attuale ancora vulnerato da orrori e barbarie. Tensione e commozione non abbandonano il pubblico – scosso e percorso come da un fremito – fino all’applauso finale, liberatorio e scosciante.
Giovanna Villella
[foto di scena Stefano Sgarella]