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Un fantastico “Quartet” di artisti per un teatro senza tempo

4 min di lettura
quartet

Catanzaro, 22 gennaio 2019. Quattro grandi nomi della scena teatrale italiana ospiti per il quinto appuntamento con la rassegna Vacantiandu al Teatro Comunale.

La rassegna, con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli e la direzione amministrativa di Walter Vasta, fa parte dell’omonimo progetto regionale con validità triennale finanziato con fondi PAC.

Ed eccoli lì, insieme, 4attori4, quattro magnifiche e magnetiche presenze Giuseppe Pambieri, Paola Quattrini, Cochi Ponzoni ed Erica Blanc per una reunion di artisti senza tempo, protagonisti di Quartet di Ronald Harwood per la regia di Patrick Rossi Gastaldi.

La commedia è un gioco di specchi: quattro grandi attori per quattro ex gloriosi cantanti d’opera ospitati in una casa di riposo per musicisti lirici.

Tuttavia, al di là della leggerezza che, per dirla con Calvino, non è superficialità, l’autore vuole ricreare sulla scena quattro vite giunte ormai in quella fase dell’esistenza che Lidia Ravera ama chiamare “il terzo tempo” realizzando così una comunicazione di valori su quelli che sono i temi dell’amicizia e della vecchiaia.

Quattro vite – quelle di Rudy, Cecy, Titta e Giulia – che, tra battute, vecchi rancori e scaramucce ricordano come la condizione umana sia complessa e piena di contraddizioni e paradossi. Quattro persone che per vivere con se stesse e con gli altri devono ridare senso alla propria vita.


Incastonati nella solenne scenografia di Fabiana Di Marco che allestisce un grande terrazzo delimitato da alte sbarre bianche, quasi a voler dare l’idea di una confortevole gabbia dorata da cui tuttavia non si può fuggire, i quattro personaggi trascorrono le loro giornate tra lievi ricordi e grevi espressioni di consapevolezza senile.

Fatti squisitamente privati si configurano in un struttura drammaturgica che coniuga emozioni e sentimenti, tenerezza e commozione ma senza manierismi e artifizi retorici.

Il Rudy di Giuseppe Pambieri è l’intellettuale tormentato e un po’ schizoide che trova conforto nella poesia e nell’arte cercando la parola “giusta” che sfugge e concedendosi qualche simpatica invettiva linguistica trivial-popolare contro una infermiera che a colazione non gli serve la cotognata. Il suo equilibrio vacilla con l’arrivo (inaspettato) della ex moglie Giulia le cui feroci battute egli somatizza e incassa con aria di superiorità rispondendo, ogni tanto, con signorile perfidia.

La Cecy di Paola Quattrini, che ricorda per la sua grazia e la sua verve una illustrazione femminile di Gino Boccasile, impone tutta la sua carica vitale e la sua ironia inconsapevole perché frutto di un candore quasi primitivo provocato dall’Alzheimer. Un lettore CD la segue ovunque, come la coperta di Linus mentre le sue dolorose memorie, impalpabili e lontane, sono caricate di gesti infantili e ingenui che suscitano ilarità e tenerezza.

Felicemente ondivago il Titta di Cochi Ponzoni  che bene alterna euforia e depressione con personalissime sfumature di humor.  I sui audaci corteggiamenti a Cecy sono solo un gioco per nascondere un buco nel cuore.

Di gran temperamento la Giulia di Erica Blanc che incede sulla scena elegante e algida come una diva, appoggiandosi a un bastone. E diva lo è ancora, nei gesti che sottolineano la perenne rappresentazione di se stessa e nelle parole che ripetono, come un disco incantato, brani della sua gloria passata. Una carriera di successo, quattro mariti, due figli e un segreto…

E così due uomini e due donne, un tempo brillanti e pieni di talento, si ritrovano qui a percorrere insieme il terzo cammin di loro vita limitati, fragili, deboli, soli. Ciascuno con la propria infermità, diversamente causata, ma profondamente incisa come uno stigma. Ed è questo il momento in cui la loro amicizia non è solo consolazione e ricatto ma  riacquista la sua forza creatrice e progettuale.  I quattro diventano enfants terribles morbosamente legati l’uno all’altro per cercare – tra le pieghe di un dolore mascherato da ironia, cinismo, falsa sicurezza, cedimenti e confessioni, – di dare ancora senso alla loro vita. Perché se è vero che esiste il dolore, la colpa, l’irrimediabilità degli atti, la fragilità di ogni essere umano e la morte, è vero che esiste anche l’Amore. Amore nella sua accezione più ampia che qui si declina, in special modo, in Amore per la Musica. Quella di Verdi. “Bella figlia dell’amore” recita il quartetto del terzo atto del Rigoletto di Verdi, e i nostri fantastici quattro, felici e soddisfatti, lo offrono al pubblico gettando un ponte tra palcoscenico e platea laddove lo spazio scenico diventa sintesi metafisica di passato e di futuro, tempo ed eternità, speranza e volontà perché la vita può essere stata dura e faticosa ma anche imprevedibile e pronta a donare, ancora,  gratificazioni e piccole gioie.

La traduzione italiana e l’adattamento di Antonia Brancati, la cifra registica di Patrick Rossi Gastaldi, il buon gusto dei costumi di Teresa Acone e l’evocativo disegno luci di Mirko Oteri ci regalano un’opera corale vivacemente scandita nei ritmi da quattro grandi interpreti di raffinata sensibilità e intensità espressiva che sanno divertire e commuovere con ironia ed eleganza.

Chapeau!

Al termine dello spettacolo, l’omaggio della tradizionale maschera in ceramica, simbolo della rassegna, consegnata agli artisti da Nico Morelli e da Walter Vasta, rispettivamente direttore artistico e direttore amministrativo di Vacantiandu.

 

Giovanna Villella

[foto di scena Ennio Stranieri]

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