Frammenti di memoria portano alla luce la storia di Nicastro degli anni ‘50
3 min di lettura«Il candore della fanciullezza, l’arcobaleno dei sogni adolescenziali, i primi amori innocenti caratterizzano i componimenti di Rosetta Vecchi, piccole ed autentiche perle di umanità che riescono a sorprenderci ancora e a coinvolgerci con una lacrima e un sorriso»
Lo ha sostenuto la professoressa Luciana Parlati nel corso del recital delle liriche e delle prose scritte in vernacolo e in lingua italiana da Rosetta Vecchi, svoltosi al Circolo di Riunione di Lamezia Terme e introdotto dal presidente del sodalizio Paolo Palaia.
I componimenti, ancora inediti, racchiudono tesori nascosti nel cuore dell’autrice che, dopo una vita dedita all’insegnamento e alla famiglia, in età matura si ritaglia uno spazio tutto suo per scavare nel suo io e portare alla luce frammenti di memoria che ricostruiscono un periodo storico molto importante per la città di Nicastro degli anni ’50.
Anni del dopoguerra dominati da una società patriarcale e da una austerità che segnano profondamente l’infanzia e la fanciullezza di Rosetta Vecchi, «una bambina magra, delicata» come lei stessa si definisce, ma attenta a tutto ciò che la circonda e soprattutto alla vita che si svolge in via Conforti dove abitava.
Attraverso la lettura di poesie e brani in prosa letti dall’autrice stessa, dalle professoresse Luciana Parlati e Michela Cimmino, accompagnate alla chitarra da Nino Benincasa, si scopre un mondo antico, diverso da quello odierno, ignorato certamente dalle nuove generazioni, e raccontato da Rosetta Vecchi con disarmante verità tra lo stupore e l’ammirazione del numeroso pubblico presente che in una buona parte condivide la narrazione in cui si rispecchia.
Forti, quindi, le emozioni suscitate dalla poetessa nell’evocare i giochi di bambina all’aria aperta, le tradizioni, la fontanella dove si attingeva l’acqua e dove i meno abbienti si lavavano, ora abbandonata, il forte senso di solidarietà tra i vicini, la mentalità e lo stato della sua famiglia. Rosetta viveva con due fratelli, la madre che si preoccupava più del suo nutrimento che della sua istruzione tanto che, invece di mandarla a scuola, aveva tentato inutilmente di farle apprendere l’arte del ricamo dalle “Monachelle” di Via Garibaldi , e il padre, insegnante di scuola elementare, colto, con quaranta alunni molto affezionati a lui, ma schiavo del gioco delle carte per il quale dimentica di iscrivere la figlia alle scuole medie dopo averla preparata a sostenere con esito positivo gli esami di ammissione. Rosetta Vecchi versò tante lacrime quando lo scoprì per bocca del segretario. Per fortuna poi la questione fu risolta.
La poetessa racconta il tempo passato descrivendo luoghi, personaggi e particolari momenti della vita quotidiana come la colazione del mattino a base di latte fresco , munto in sua presenza dal lattaio che la mattina girava per le strade di Nicastro con le sue capre, e inzuppato con il pane della sera precedente (perché allora non si buttava niente) impregnato di formaggio pecorino che, essendo disgustoso, lei rifiutava decisamente facendo infuriare la madre.
Particormente gradite le poesie “I lucciuli” (Le lucciole), I pacchiani” (Le pacchiane), “Murìu mamma” (Morì mamma), Patrimma (Mio Padre), “ U primu vasu” (Il primo Bacio), “I fiori di calla” e i brani tra cui “ A rivurvirata” (La rivolverata) in cui, durante una rissa tra gli uomini, che frequentavano abitualmente le cantine di vino, partì un colpo di pistola che ferì accidentalmente alla gamba un suo fratello il quale, appena il fatto fu riportato dalla Gazzetta del Sud, si senti molto importante essendo diventato famoso mentre si trovava ancora in ospedale dove era stato ricoverato per ricevere le cure del caso. «Ancora mio fratello – ha commentato Rosetta Vecchi – conserva quel giornale come un tesoro».
Lina Latelli Nucifero