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Il furto di identità: tutta colpa dell’Olimpo!

4 min di lettura

Il fenomeno del c.d. “identity theft”, ovvero del furto di identità in rete si diffonde a macchia d’olio, complice la continua crescita dell’utilizzo di internet e l’evoluzione esponenziale degli strumenti tecnologici, che consentono la diffusione e la condivisione dei dati personali online.

furto d’identitàLa fattispecie si realizza, infatti, soprattutto nell’ambito dei social network, date sia le modalità (erronee) di custodia delle credenziali di autenticazione degli utenti, sia la possibilità di creare degli account falsi da parte di terzi.
[Pur non corrispondendo “materialmente” ad una sostituzione della persona, in mancanza di una fattispecie incriminatrice specifica, il cybercrime viene ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità nell’ambito del reato di cui all’art. 494 c.p., relativo alla “sostituzione di persona”, secondo il quale “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno”.
La fattispecie delittuosa ha dunque natura pluri-offensiva, in quanto lo scopo è quello di tutelare non solo gli interessi pubblici, ma anche quelli che si trovano nella sfera del soggetto privato (persona offesa), che vengono lesi dalla figura di reato, per la quale è richiesto il dolo specifico (Cass. n. 13296/2013)].
Fin qui la scienza del diritto, ma solo a presentazione del tema, senza la pretesa di esaurirne le problematiche, se mai di sottoporle a quesito, anche perché la sezione merita lo studio di un esperto del settore, che non coincide assolutamente con la penna di questo scrivente: Unicuique suum!
Tuttavia, nel mio piccolo, posso identificare nella mitologia le prime avvisaglie di questa riprovevole infrazione: roba da far rizzare i capelli, eppure è così!
L’Amphitruo (206 a. C), tragicommedia plautina, ne precorre i tempi, per farne un esempio: vediamone la trama, scoprendone le ragioni.
Giove, invaghitosi di Alcmena, moglie di Anfitrione, mentre questi è in guerra contro i Teleboi, assume le sembianze di lui, e Mercurio quelle di Sosia, il fedele servo del re, per riuscire a trarre più facilmente nell’inganno la virtuosa regina.
L’intreccio comico, sviluppatosi nell’incontro del vero e falso Anfitrione col vero e falso Sosia, è tra i più divertenti e originali della drammaturgia arcaica della produzione letteraria latina.

«Amore captus Alcumenas Iuppiter
Mutauit sese in formam eius coniugis
Pro patria Amphitruo dum decernit cum hostibus.
Habitu Mercurius ei subseruit Sosiae:
Is aduenientis seruum ac dominum frustra habet.
Turbas uxori ciet Amphitruo: atque inuicem
Raptant pro moechis. Blepharo captus arbiter
Vter sit non quit Amphitruo decernere.
Omnem rem noscunt; geminos Alcumena enititur».(Amphitruo, Secondo argomento, vv. 1-9; trad. di Mario Scandola)
« Giove, preso d’amore per Alcmena, ha assunto le sembianze del marito di lei, Anfitrione, mentre costui combatte contro i nemici della patria. Gli dà manforte Mercurio, travestito da Sosia; egli si prende gioco, al loro ritorno, del servo e del padrone. Anfitrione fa una scenata alla moglie; e i due rivali si danno l’un l’altro dell’adultero.
Blefarone preso come arbitro, non può decidere quale dei due sia Anfitrione. Poi si scopre tutto; Alcmena dà alla luce due gemelli (Eracle ed Ificle)».

Ad emergere,  tra i colpi di scena, alla fin fine, è un’ilarità senza rovelli di riflessioni e cogitazioni, motivo che spinge ad assolvere la fabula palliata e tutto l’Olimpo coinvolto: ne nasce addirittura un semidio, Ercole, con i geni dell’esplorazione, di là dalle sue Colonne, non perdiamolo di vista, questo!
Il malcostume, invece, quello reale, quello sì che arrovella ed avvelena l’animo, e purtroppo non è un fenomeno isolato ma in ripetizione, proprio come il  doppio pronome dimostrativo, incorso poco fa, idealmente sostitutivo, per metafora, di quei tanti nomi dis-identificati che si aggirano via web per r-aggirare tanti ingenui boccaloni.
Storie ordinarie di drammi senza il deus ex machina dell’antichità: macchinazioni e rompicapo, che miseria!

E ogni delitto, benché privato, offende la società.

Purtroppo la parola di Cesare Beccaria,

come per tante altre cose, urla in silenzio!

Prof. Francesco Polopoli

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