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Giovanni Ferro, il vescovo reggino quasi santo

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Monsignor Giovanni Ferro. Photo cvsreggiocalabria.it

Piemontese d’origine, sarà il pastore della diocesi reggina per circa 27 anni, nei difficili anni Settanta, in veste di padre buono e vicino al suo popolo.

Giovanni Ferro nacque a Costigliole d’Asti (Asti) il 13 novembre 1901 da Giovanni, calzolaio e Carolina Borio.

A soli 11 anni decise di voler diventare sacerdote, sicchè s’iscrisse presso il seminario dei Padri Somaschi di Asti i quali lo inviarono a studiare a Roma presso l’Istituto Sant’Alessio dove venne ordinato sacerdote l’11 aprile 1925, laureandosi nel frattempo presso la Pontificia Università Gregoriana in filosofia.

Da subito fu chiamato ad incarichi di responsabilità quali docente di Diritto Canonico nell’istituto di Corbetta (MI), mentre nel frattempo consegui una seconda laurea in teologia a Torino; fu rettore per ben due volte, la prima volta presso il Collegio Trevisio di Casale Monferrato (paese industriale dell’alessandrino dove studiò anche il futuro vescovo di Nicastro Vittorio Moietta) e la seconda volta rettore e preside presso il Pontificio Collegio Gallio di Como, che resse fino al 1945, nei difficili anni della Seconda Guerra Mondiale (1939 – 1945) e della Repubblica di Salò (1943 – 1945).

Foto ufficiale S.Ecc. Monsignor Giovanni Ferro.

Solo nel 2008 si verrà a sapere che l’allora don Ferro nel 1938 accolse presso il Collegio Gallio per anni un ragazzino ebreo, Roberto Furcht, per evitargli la deportazione in Germania fornendogli documenti falsi e un rifugio sicuro. Sarà lo stesso Furcht, ormai vegliardo, avendo saputo della apertura del processo di canonizzazione del presule a Reggio Calabria a voler rilasciare questa preziosa testimonianza sulla sua vita esemplare.

Dopo il 25 aprile 1945 don Ferro accolse nel suo collegio con identità false anche alcuni congiunti dell’ex duce Benito Mussolini quali Vittorio (figlio del duce), Orio Ruberti (cognato di un altro figlio del duce) e Vanni Teodorani (genero di Arnaldo defunto fratello di Mussolini) fino al 12 Novembre 1945.

Nello stesso anno 1945 don Ferro fu trasferito a Genova dove fu parroco della chiesa di Santa Maria Maddalena e docente di Teologia Pastorale presso il seminario maggiore della città. Nel 1948 venne eletto padre provinciale dei Somaschi, compito che svolse fino al 1950.

Ferro arcivescovo di Reggio Calabria

Quasi inespettata a soli 49 anni nel 1950 arrivò a Giovanni Ferro la nomina da papa Pio XII (1939 – 1958) a nuovo arcivescovo di Reggio Calabria e vescovo di Bova. Giunto a Reggio Calabria, dove ancora vive erano le ferite materiali e morali prodotte dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, monsignor Ferro succedette a due suoi sfortunati predecessori quali l’ arcivescovo Enrico Montalbetti morto per il bombardamento del 1943 e del suo immediato successore, il giovane Antonio Lanza, morto improvisamente in quel 1950 lasciando i reggini nello sconforto ancora più grande e dove l’arrivo di monsignor Ferro era desiderato con molte aspettative che da subito il presule piemontese soddisfò appieno.

1950. Giovanni Ferro, da poco eletto vescovo in udienza presso papa Pio XII.

Infatti nel 1951 ci fu una gravissima alluvione che devastò sopratutto la provincia di Reggio Calabria, colpendo particolarmente i tanti piccoli paesi dell’ Aspromonte che monsignor Ferro volle raggiungere e visitare personalmente per portare conforto e aiuti materiali agli sfollati per i quali, dal 1951 al 1954, ordinò che le Chiese e gli istituti religiosi, il seminario e la curia arcivescovile fossero aperti per accoglierli, e facendosi personalmente portavoce presso le istituzioni della loro miserabile condizione. Non soddisfatto già di tutto questo, diramò un comunicato radio in tutta Italia affinchè giungessero altri aiuti, a cui solo il papa Pio XII rispose benevolmente. Vicinissimo quindi ai poveri e ai deboli, adottò uno stile di vita sobrio ed essenziale, non usuale all’epoca per gli ecclesiastici e che favorì ancora di più la sua popolarità.

Nel frattempo, forse perchè non riusciva a governare come voleva nel migliore dei modi la diocesi di Bova, ne chiese le dimissioni dal suo governo nel 1960 al papa san Giovanni XXIII (1958 – 1963), che le accettò, anche se ritornerà a reggere la piccola diocesi dal 1973 al 1977 (ricordiamo che dal 1986 la diocesi di Bova è stata aggregata a quella di Reggio Calabria, sicchè oggi la denominazione è arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova). Dal 1967 al 1970 sarà anche Amministratore Apostolico della diocesi di Oppido Mamertina (dal 1979 diocesi di Oppido Mamertina – Palmi). Dal 1962 al 1965 in veste di padre conciliare partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano II, dove tenne diversi apprezzati interventi.

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Ferro pastore d’anime buono

Monsignor Ferro lasciò tantissimi segni materiali concreti nei suoi anni di arcivescovo di Reggio Calabria quali, fra i tanti, ricordiamo almeno la creazione di una Scuola Superiore di Servizio Sociale, dell’Opera Reggina Asili, delle Case della Solidarietà Cristiana, dell’Auditorium S.Paolo, del nuovo Seminario e della ristutturazione del Santuario della Consolazione all’Eremo.

Ancora a lui si devono la sistemazione della biblioteca e dell’archivio storico, della creazione di una cinquantina di opere sociali fra le quali colonie e soggiorni estivi, consultori, scuole, laboratori, impianti sportivi.

Indisse poi un Congresso liturgico Nazionale, la XXXIII Settimana sociale dei cattolici italiani, l’Anno Paolino nel XIX centenario della venuta di S.Paolo a Reggio, la fondazione di una Scuola Superiore di Teologia per i laici e  la pubblicazione di una Storia dell’Archidiocesi di Reggio Calabria a cura dello storico padre Francesco Russo. Infine scrisse moltissime Lettere Pastorali, vari Appelli, Notificazioni.

Monsignor Ferro fu anche il primo presidente della CEC (Conferenza Episcopale Calabra) fondata nel 1970 che diresse con fermezza ed equilibrio ed apprezzato per questo dai suoi confratelli vescovi, oltre che membro permamente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana).

Monsignor Giovanni Ferro attorniato dai suoi amati bambini.

Ferro paciere durante i moti reggini del 1970

Nel 1970 si attuò con molto ritardo la legge che istituiva i governi regionali. In Calabria quasi subito rivendicarono il ruolo di capoluogo sia Catanzaro, per la sua posizione centrale, che Reggio Calabria per la sua antichità e numero di abitanti superiore a qualsiasi altra città calabrese. Alla fine si decise di scegliere come capoluogo di regione Catanzaro. I reggini non accettarono bonariamente questa scelta e organizzarono scioperi e barricate per rivendicare la sede del capoluogo. Ci furono giorni di violenza estrema in città, con scontri feroci tra forze dell’Ordine e manifestanti, che causarono anche una cinquantina di vittime.

I partiti di allora, capeggiati dal MSI con l’unica eccezione del PCI, sostennero la protesta popolare attraverso veri e propri “Comitati di agitazione”. I moti si conclusero solo nel 1971 assegnando a Reggio Calabria la sede del Consiglio Regionale e vaghe promesse di creare moderni poli industriali quali il Polo Siderurgico che in pochi anni fu abbandonato per il crollo della produzione e il porto di Gioia Tauro, che ancora oggi non riesce a decollare per dimensioni di traffici commerciali. Il vescovo Ferro usò tutta la sua forza persuasiva e morale in quei tragici giorni per calmare gli animi dei rivoltosi, promovendo distensione e dialogo fra manifestanti e forze dell’ordine (incluso l’Esercito), che procurarono alla persona dell’arcivescovo finanche minacce dalla popolazione inferocita e attacchi personali da parte dei politici cittadini a cui monsignor Ferro non rispose mai in alcun modo, ma soltanto tacendo e pregando per la pacificazione della città.

Per questa sua opera di mediazione e di paciere il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat gli fece dono nel 1972 di un calice d’oro del XVIII secolo allegato ad una lettera encomiastica per il suo operato.

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Gli ultimi anni, la morte e il processo di canonizzazione

Nel giugno 1977 monsignor Ferro chiese al papa Paolo VI (1963 – 1978) le dimissioni da arcivescovo di Reggio, che furono accolte per raggiunti limiti d’età. Congedandosi dalla sua diocesi nell’agosto, disse: “Nel rivolgere a voi, venerandi Sacerdoti e diletti Fedeli dell’Arcidiocesi reggina e di Bova, l’estremo saluto, colui che vi fu Padre e Pastore per tanti anni, vi scongiura ‘in visceribus Christi’ a restare figli devoti della Santa Chiesa, a superare ogni contrasto e divisione con vera carità, e a usare in spirito di povertà dei beni della terra, fisso tenendo lo sguardo ai beni eterni del cielo”.

Fortissimo fu il rammarico fra la comunità reggina per la sua decisione di tornare a Roma per vivere i suoi ultimi anni presso la Curia Generalizia dei Padri Somaschi. Il Consiglio Comunale di Reggio Calabria gli conferì la cittadinanza onoraria e il vescovo emerito Ferro, pressato dal clero e dalla popolazione nel ritornare a Reggio per vivere li i suoi ultimi anni, poco tempo dopo ritornò definitivamente nella Città dello Stretto ritirandosi presso un modesto appartamento in Seminario dove morirà il 18 aprile 1992.

Scrisse nel suo testamento:“Vi ho amati tutti e continuo ad amarvi senza esclusione alcuna. Vi attendo tutti in Paradiso, ove spero di giungere presto, confidando nei meriti infiniti di Gesù Salvatore, nella intercessione della dolcissima Madre Celeste, degli Angeli e dei Santi e nelle preghiere di suffragio che voi farete per la povera anima mia. Chiedo umilmente perdono a chiunque io abbia potuto offendere o contristare, lieto di poter dichiarare che nel mio animo si sono mai fermati pensieri e sentimenti di avversione o di rancore per alcuno di voi. Ringrazio tutti della grande bontà, che come figli amatissimi, avete avuto per me indegno Pastore della Chiesa Reggina e Bovese. Ai Venerati Presuli della Regione Calabria, che mi sono sempre stati amabilmente vicini come fratelli carissimi, la mia devozione e riconoscenza imperitura. Delle poche cose che risulteranno in mio possesso alla mia morte, lascio erede il Seminario di Reggio Calabria”.

Deceduto, subito fu richiesta la tumulazione in Cattedrale, sicchè ancora oggi i resti mortali di monsignor Ferro riposano presso la navata destra, dove sotto la statua che lo raffigura compeggia l’epigrafe su cui v’è scritto:“Pastore molto zelante, infaticabile per operosità, risplendente di esimia carità, poverissimo tra i poveri, fermissimo nelle circostanze procellose, segnacolo di pace, sostenitore convinto della promozione della sacra liturgia, fautore di buona cultura, esempio per tutti di virtù, specialmente di pazienza negli ultimi avvenimenti della vita, lui che aveva sofferto di una infermità cronica, o Gesù, buon pastore eterno, lui che seguendo Te, Padre carissimo, tutto si sacrificò per la salvezza delle anime, accogli nella pace e nella gloria tua sempiterna”.

Da anni si tengono convegni in suo onore nella diocesi di Reggio Calabria, ma sopratutto dal 2008 al 2011 si è aperto il processo canonico per richiedere al papa di rendere l’arcivescovo Ferro al più presto santo. Ad oggi monsignor Giovanni Ferro è per la chiesa cattolica Venerabile, mentre la sua Reggio Calabria gli ha intitolato da pochi anni una via in pieno centro.

M.S.

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