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Giuseppe Piccioni Il rosso e il blu

5 min di lettura

Giuseppe Piccioni: Il grande Blek (1987)
Chiedi la luna (1990) Condannato a nozze (1992)
Cuori al verde (1996) Fuori dal mondo (1998)
Luce dei miei occhi (2001) La vita che vorrei (2004)
Giulia non esce la sera (2009) Il rosso e il blu (2012)

Giuseppe Piccioni

A Lamezia con Il rosso e blu, Giuseppe Piccioni, ospite, per il primo appuntamento della rassegna “L’ora di Cinema Extra”,  del direttore artistico GianLorenzo Franzì.
Rassegna sotto il patrocinio del Comune di Lamezia Terme.
Dopo la visione del film Il rosso e il blu, il regista ha parlato con gli spettatori e con Gian Lorenzo, poi ha percorso a ritroso le strade perdute del nostro interiore, del riferimento che ci fa essere simili e dona la felicità di capirsi fra umani.
Pochissimi appunti ho preso. Qualche frase. Ho però stampato indelebile tutto quel che di comune c’era già, non sapendolo. Intanto i titoli dei suoi film. Senza saperlo io li ho copiati negli anni  passati, intitolando via via le mie relazioni come i suoi film. Io scrissi La vita che vorremmo, ed ora so perché. Riecheggiavo il suo film “La vita che vorrei”
Giuseppe Piccioni ricorda ogni sequenza dei suoi film, ci spiega ogni dettaglio, quel dettaglio, che solleva i protagonisti dalla noia di una conversazione scontata e fugge via, offrendo a noi tutti la sorpresa di poter parlarci senza scadere nelle ovvietà.
Sembra che tutta la sua cinematografia sia stato questo sfuggire il discorrere lamentevole oppure aggressivo, le offese, il male assoluto, e mostrare un normale esistere capace di altezze, di approfittare del varco stretto, strettissimo e mostrare una realtà che sia un viso, una piega del viso, un sorriso, la luce negli occhi.
Quel momento che fa di tutti un individuo unico e solo nella sua unicità.
Il rosso e il blu è un film sulla scuola e lui ricorda la sua maestra che ad alta voce nell’aula scandiva quel “Leggi, Giuseppe” quel suo nome, come di quello dei suoi compagni, e la maestra voleva sentire proprio la voce di Giuseppe, donando all’alunno, a tutti gli alunni, una individualità. Donando attenzione.
“Attenzione” altro momento molto caro al regista. Ricordo un altro film sulla scuola, “W La Scuola”, che terminava proprio con la parola attenzione.
Attenzione che ci fa meno soli, e il regista ci ricorda Silvio Orlando in “Fuori dal mondo” con una suora, in una stanza,  raccontare la solitudine di non poter e nemmeno sapere a chi telefonare perché non si ha nessuno, noi tutti siamo lì lì per dire che siamo noi, tutti, uguali, a Silvio Orlando, al suo personaggio.
In fondo il cinema ci chiede immedesimazione, ci fa partecipare al gioco, ci fa sognare, ridere e piangere. E quando si piange il film è riuscito.
La voglia di vivere e di leggere. In Guerra e pace di Tolstoj, libro da lui molto amato, il protagonista ha trentuno anni, non ha voglia di vivere, spento, eppure, in un viaggio, sente una risata gaia, fresca, e lui si chiede cosa avrà tanto da ridere quella ragazza che lui non vede. La sera ascolta la voce e si innamora così, dalla voce, dal suono, dalla gioia di vivere e sceglie l’amore, sceglie la vita.
Tutta la vita è una scelta, ha detto infatti il regista, proprio all’inizio della conversazione. Cosa ci sta a cuore è importante.
Il cinema a lui ha dato la possibilità di sciogliere quell’ossessione di fare delle scelte, di prendere posizioni, di chiedersi sempre ” Cosa voglio raccontare?” La vita di tutti segue queste dinamiche, sull’altalena del pensarsi nessuno oppure qualcuno, sullo sconforto e sulla euforia, sulla voglia di lasciare un’orma, lui dice una traccia di sé, sul terreno.
Un modo personale di essere che implica la voglia delle relazioni umane. Che ci fa comunità. E qui lui usa un aggettivo legato a sostantivo che vi metto in grassetto Attenzione civica. 
Evviva la civiltà. Ci sentiamo in tanti Fuori dal mondo eppure basta incrociare la magia del cinema e dell’uomo e ci sentiamo nel mondo nel grande mondo dei nostri riferimenti. Mentre Truffaut è presente con noi, lo vedo quasi, nelle parole di Giuseppe Piccioni,” Bisogna falsificare per dire qualche verità” la realtà come rappresentazione, e qui io mormoro Débord, la messa in scena è la capacità di rendere una scena interessante, sollevarsi su qualcosa di diverso vedendo il doppio fondo, come in una valigia e scoprire l’incantesimo.
Con le parole di Sergio Quinzio teologo da lui stimato, siamo alla fine della conversazione che termina con ” Il mio paesaggio sono i volti”.
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Ma non termina l’incontro, ci salutiamo, lasciamo le scene e continua il nostro viaggio  con lui per le vie di una Nicastro antica, per le vie del Timpone, attraversando ponti, guidati da Cecilia, leggendo il castello dalle parole di Giovanna ed intanto siamo a Santa Lucia e troviamo Don Vittorio Dattilo, uomo prima che prete, incarnazione di tutto il cinema di Giuseppe Piccioni, in un incastro di coincidenze che, subito, questo libro “Il breve trattato sulle coincidenze” di Domenico Dara, dovrò segnalare al regista.giuseppe piccioni3

Per le vie antiche e sciupate, un profumo di garofani, quei garofani piccoli e odorosi delle estati del sud e, nel mentre io ricordo a Giuseppe la poesia di Costabile, lo ringrazio per aver trovato in lui una perfetta aderenza fra le sue scelte e il suo essere uomo in mezzo a noi, in quella relazione che umani ci fa.
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 Sonno di garofani
L’acqua 
del paese 
ancora scorre 
senza tubature, 
ne s’alzano antenne 
architetture 
di pulegge e gru 
perché gli uccelli 
possano sbagliare. 
C’è pace 
vita chiara 
di donne di bambini 
di carri tirati dai buoi 
e a sera, quando ai balconi 
c’è un sonno di garofani, 
due stelle bizantine 
s’affittano una stanza 
nel cielo della piazza.

Ippolita Luzzo

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