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Giustizia, Rapani: «Riforma Cartabia e ingiusta detenzione, cortocircuito del sistema»

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Il senatore di Fdi e componente della Commissione Giustizia: «Si giudica la persona e non più il reato, esaltando fino all’assurdo la cultura del sospetto»

Comunicato Stampa

ROMA «Sono tante le perplessità emerse dall’inaugurazione dell’anno giudiziario tenutosi a Catanzaro, ed al quale ho partecipato, espresse dai rappresentanti dei vari ordini presenti. Tra tutti, i dubbi paventati sulla recente Riforma Cartabia, definita come l’ennesimo intervento del Legislatore che rischia di far collassare l’intero sistema Giustizia». È quanto dichiarail senatore di Fratelli d’Italia e componente della commissione Giustizia, Ernesto Rapani.

«Condivido appieno l’intervento del presidente dell’Ordine distrettuale degli avvocati di Catanzaro, Antonello Talerico. Il legale ha sottolineato come chi ha scritto la riforma abbia “volutamente trascurato le gravi condizioni in cui magistrati e avvocati sono costretti ad operare già da anni e, ciò perché l’obiettivo era solo quello di ottenere i fondi del Pnrr e non quello di rendere più efficiente la giurisdizione ed il processo. Del resto – ha sottolineato ancora il presidente dell’ordine – uno Stato di diritto che si trasforma in un mero Stato economico, perde purtroppo di vista gli obiettivi e le esigenze primarie della Società e dei cittadini e, tra questi sicuramente troviamo la Giustizia”».

«Questo nuovo quadro normativo – afferma il senatore – costringerà tutti gli operatori del diritto alla resa, accettando il fatto che il sistema giustizia ha fallito “in via definitiva salvo non voler affidare tutto alla sfera di cristallo della Giustizia predittiva e degli algoritmi che costituirebbero la fine del processo e della giurisdizione” come sostenuto ancora da Talerico. La riforma sostanzialmente chiede ai magistrati di lavorare ancora di più ma senza fornire nuove risorse umane ed organizzative; chiede all’Avvocatura “l’ennesimo adattamento al sacrificio ed ai cittadini di rinunciare ai propri diritti o comunque di rendere sempre più difficile la loro tutela”».

«Concordo con Talarico quando definisce la riforma Cartabia come la peggiore di tutti i tempi, nonostante sia stata scritta da un presidente della Corte costituzionale. Oggi – sostiene ancora il senatore Rapani – ci troviamo in mezzo al paradosso di dover attuare una riforma voluta da un governo diverso, pur non condividendola, tant’è che si parla già di nuovi interventi di riforma».

«Come accennato da Talerico nei giorni scorsi, “la soluzione di anticipare, addirittura, i tempi di entrata in vigore della Riforma appare una scelta scellerata ed illogica rispetto alle riserve manifestate dall’Avvocatura e dalla Magistratura, mentre gli Uffici Giudiziari continuano a far registrare la carenza di organico ed un carico dei ruoli eccessivo. Nel civile e nel penale – ha concluso l’avvocato Talerico – sono molte le anomalie analizzate, dagli ostacoli alle impugnazioni, alla mortificazione dell’oralità del processo, alla confusione a cui condurrà il regime transitorio, e basti richiamare tra le tante la questione della necessità della presentazione della querela entro termini ristretti anche per quei processi in corso. Ma questo non è lo Stato di diritto che dobbiamo offrire al Paese”».

«Un altro aspetto emerso nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Catanzaro – sottolinea ancora Rapani – è l’ingiusta carcerazione. Numerosi errori giudiziari annualmente conducono in carcere, ancora, troppe persone innocenti. Così come la carcerazione preventiva andrebbe limitata ai soli casi eccezionali. Nel periodo 2012/2021 sono quasi 53 milioni di euro le somme corrisposte come risarcimento per ingiusta detenzione. Addirittura nel solo 2018 sono ammontati a oltre 10,4 milioni gli indennizzi versati, la seconda somma più alta di sempre in Italia».

«Purtroppo – conclude il componente della commissione Giustizia del Senato – non si tratta soltanto di sperpero di denaro pubblico, piuttosto di tante vite umane che vengono spezzate, spesso in maniera irreversibile, poiché niente sarà più come prima. Si giudica la persona e non più il reato, esaltando fino all’assurdo la cultura del sospetto».

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