Il lockdown taglia l’evasione fiscale del 25%
3 min di letturaI 3 mesi di lockdown hanno tagliato l’evasione fiscale del 25%
27,5 mld in meno su un conto totale ormai consolidato intorno ai 110 mld di euro.
Un risultato però che non arriva grazie al controllo dello Stato ma per effetto della chiusura delle attività economiche: è questa la stima elaborata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre per rispondere provocatoriamente all’accusa “ingiusta” secondo cui il popolo degli evasori sia costituito quasi esclusivamente da lavoratori autonomi, edili, dipintori, idraulici, elettricisti, orafi, parrucchieri, estetisti, baristi, ristoratori, piccoli commercianti.
“Additati da sempre come gli affamatori del popolo, non è da escludere che nei prossimi mesi, quando questa depressione economica sfocerà in una probabile crisi sociale, gli autonomi saranno chiamati a pagare il conto. In attesa che arrivino i soldi del Recovery fund, quasi sicuramente inizierà una campagna contro gli evasori fiscali, con l’obbiettivo di colpire, in modo particolare, gli artigiani, i commercianti e le partite Iva. Le prime avvisaglie ci sono già, visto che autorevoli opinion leader hanno cominciato a invocare la democrazia della ricevuta”, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo che ribadisce la necessità che ” l’evasione/elusione vada contrastata ovunque essa si annidi” ma ricorda anche come gli strumenti per combattere chi non versa le imposte ci sono e da molto tempo”.
“Se il nostro fisco fosse meno esigente, lo sforzo richiesto sarebbe più contenuto e probabilmente ne trarrebbe beneficio anche l’Erario. Con una pressione fiscale più contenuta, molti di quelli che oggi sono evasori marginali diventerebbero dei contribuenti onesti. Ricordo che la nostra giustizia civile è lentissima, la burocrazia ha raggiunto livelli ormai inaccettabili e la Pubblica amministrazione rimane la peggiore pagatrice d’Europa. Nonostante queste inefficienze, la richiesta del nostro fisco si colloca su livelli elevatissimi e, per tali ragioni, appare del tutto ingiustificata”, aggiunge il segretario della Cgia, Renato Mason.
Secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale (Doing Business), infatti, è la ricostruzione della Cgia, solo la Francia (60,7) presenta un carico fiscale sulle imprese (in percentuale sui profitti commerciali) superiore al dato Italia (59,1). Se la media dell’Area Euro è pari al 42,8% (16,3 punti in meno che da noi), la Germania registra il 48,8% e la Spagna il 47%.
L’incidenza del totale delle imposte sui profitti commerciali registrata dall’Italia nel 2018 (59,1%) è abbastanza in linea con il dato del 2015 (62%). Nei due anni intermedi (biennio 2016 e 2017), prosegue l’Ufficio studi Cgia, si è registrata un’incidenza sensibilmente inferiore (rispettivamente del 48 e del 53,1), riconducibile all’effetto dell’introduzione di alcune misure temporanee che hanno alleggerito il costo del lavoro, in particolar modo dei neoassunti con un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
I circa 110 miliardi di evasione fiscale e contributiva denunciati dal Ministero dell’Economia, infine, ricorda ancora la Cgia, “sono pressoché stabili da almeno 10 anni, mentre nello stesso periodo l’Amministrazione finanziaria ha visto aumentare notevolmente il numero di strumenti a disposizione per contrastare l’evasione delle imposte”.