Il messaggio pasquale alla diocesi di Lamezia Terme di Mons. Schillaci
13 min di lettura1. Il nostro tempo
La nostra Chiesa locale sta vivendo, insieme con le altre Chiese in Italia, una sorta di venerdì santo prolungato. Le nostre comunità cristiane durante il tempo di quaresima non hanno potuto radunarsi come di consueto soprattutto per celebrare l’eucaristia, ma anche per incontrarsi, per la catechesi e per tutti gli altri momenti che avevamo pensato al fine di vivere quello che per noi è il culmine e il cuore dell’anno liturgico.
Ci siamo pertanto preparati alla Pasqua in un altro modo, trovando modalità differenti di comunione per professare la nostra fede ed affermare la nostra appartenenza ecclesiale. In questi giorni abbiamo, forse, riscoperto la chiesa domestica che ci ha permesso di pregare nel segreto “in Spirito e Verità” e di testimoniare nelle nostre case il nostro sacerdozio battesimale.
È un impegno a proseguire questa buona abitudine: “ogni giorno nel tempio e nelle case, non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,42). Non potremo vivere i riti della Settimana Santa come gli altri anni, ma nessuno ci impedisce di proclamare, magari con uno stile nuovo, la nostra fede nel Signore Risorto.
Nel tempo del coronavirus, come i primi cristiani, ciò che più ci sta a cuore, in ogni occasione della nostra esistenza personale e comunitaria, è cercare di raccontare a tutti con e nella nostra vita la gioia e la bellezza della nostra fede in Gesù Cristo.
Il coronavirus, indubbiamente, ci ha messi tutti in uno stato di paura e di ansia. L’emergenza che ne è scaturita ci ha fatto toccare con mano quello stato di precarietà esistenziale di cui è intessuta la nostra condizione di essere umani.
Stiamo sperimentando e forse sperimenteremo, per un po’ di tempo ancora, cosa vuol dire non poter esprimere il nostro affetto per l’altro, con i gesti per noi consueti dell’abbraccio e del bacio, che esprimono la vicinanza, l’affetto, l’amicizia, tutta la nostra umanità. Queste limitazioni, non di rado, lasciano campo libero, non solo nei nostri pensieri e nelle nostre preoccupazioni, alla malattia, alla sofferenza e alla ineluttabilità della morte.
Questa calamità ci ricorda la fragilità della nostra esistenza creaturale e soprattutto la certezza, inscritta nel nostro essere umani, di dover morire: pensiero che tutti ci rattrista. L’uomo super tecnologico che pensa di aver oltrepassato ogni limite deve tuttavia fare i conti con questo estremo limite che è comune eredità di tutti gli uomini nessuno escluso: la morte. Tutte le paure si riassumono ed hanno come paradigma ultimo la paura di morire.
La paura dell’annientamento del nostro essere e della nostra identità, della nostra storia; la paura di dover rinunciare e quindi abbandonare per sempre quegli affetti e quei legami che fanno e strutturano la nostra esistenza umana; la paura di dover rinunciare con la morte, anzitutto, alle persone che ci hanno amati e che amiamo.
Questo significa che la paura non sempre è soltanto paura per noi stessi, per le nostre cose, ma anche paura per l’altro e per gli altri! Non c’è solo la paura per la mia morte, ma anche la paura per la morte dell’altro. Soprattutto quando l’altro è più piccolo, più vulnerabile, più indifeso, più fragile.
Una società che riesce a prendersi cura dei più indifesi sviluppa quegli anticorpi che la rendono sempre più umana, benevola, accogliente, inclusiva. È questo che tutti noi auspichiamo per la nostra comunità Lametina, ma anche per tutti i popoli della terra, in particolare per tutti quei popoli che vivono il terrore della violenza e della guerra, che soffrono la fame, che non hanno pace.
Questo momento di crisi, di difficoltà generale, forse ci ha resi più consapevoli che siamo tutti una grande famiglia, che siamo tutti nella stessa barca, che è fondamentale da parte di tutti, a partire dal nostro piccolo, adoperarci per il bene in ogni ambito della vita e cercare sempre quello che unisce mai quello che divide e ci divide gli uni dagli altri.
2. Gesù prende parte alle nostre sofferenze
In questo tempo di prova per tutti, noi come cristiani, contempliamo nostro Signore Gesù Cristo. Lasciamoci mettere in questione dalla sua umanità, in particolare come si rivela nel momento cruciale della sua passione: Egli ha avuto paura, non l’ha nascosta, anche se non si è lasciato paralizzare e vincere da questa. L’ha manifestata a se stesso e al Padre. Il Signore, quella paura, l’ha fatta propria, l’ha attraversata, non l’ha fuggita:
“Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: Sedevi qui mentre io prego. Prese con sé Pietro Giacomo e Giovanni e comincio a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: la mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate” (Mc 14, 32-34).
Sono i Vangeli ad attestare come Gesù abbia provato paura e angoscia nel momento culminante della sua passione. Durante questa suprema prova, purtroppo, non ha trovato conforto e sostegno umano nei suoi discepoli, ma è stato abbandonato e lasciato solo: “tutti lo abbandonarono e fuggirono” (Mc 14,50).
La sua anima triste fino alla morte esprime in modo eloquente quello che ha dovuto attraversare nella sua passione. E tuttavia, nonostante questo abisso di sconforto, di solitudine e di distanza, Egli mostra la sua piena fiducia nel Padre suo. Ha vinto la paura con un ulteriore atto di adesione e di abbandono alla volontà del Padre.
Cristo, infatti, non è venuto per fare la sua volontà, ma la volontà del Padre suo: “non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Per Lui è Abbà sempre, nella gioia e nel dolore, nell’esultanza e nella tristezza!
È la sua smisurata fiducia nel Padre che lo porta a consegnarsi pienamente e totalmente per la salvezza dei suoi, degli altri, di tutti. Nella sua vita non ha cercato altro che la volontà del Padre fino alla fine e senza fine. La volontà del Padre è che tutti gli uomini siano salvi (cfr. 1 Tm 2, 4).
Sono i due tesori a cui Cristo tiene particolarmente e risolutamente e a cui non ha mai rinunciato; dentro questi punti fermi Cristo fissa la sua fedeltà: il Padre e gli uomini. Nella volontà della salvezza c’è tutto il senso del suo ministero pubblico e la direzione di marcia che non verrà mai meno: la sua piena e totale donazione e consegna di sé.
È il Figlio unigenito, l’amato, sul quale il Padre ha posto ogni compiacimento (cfr. Mt 17 6) che ha consegnato, ha donato, se stesso per noi e per tutti. Lui, il Figlio per eccellenza, impara nella sua esistenza terrena da quello che patisce:
“Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5, 7-9).
La sua adesione alla volontà del Padre non si allontana mai da questo unico desiderio e da questa unica passione: la salvezza degli uomini. Il Figlio di Dio avendo preso la carne e il sangue, cioè la nostra condizione umana, non poteva non prendersi cura di noi:
“Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura.
Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2, 14-18).
Nel mistero dell’incarnazione lasciamoci interpellare da Gesù Cristo che facendosi uomo “si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato” (GS 22).
Per questo il Signore Gesù sa capire le nostre debolezze, le nostre fragilità, le nostre sofferenze e le nostre paure. In ogni momento della nostra vita siamo chiamati a mantenere ferma questa fede in Cristo Gesù che ha patito, ha sofferto, è stato crocifisso per noi e per la nostra salvezza. Per cui, nella fede ci è consentito dire, ancora con l’Autore della lettera agli Ebrei:
“abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4, 14-16).
3. Gesù Cristo è Risorto
Eppure la paura non scompare con la Quaresima. La paura arriva sino al giorno di Pasqua. Così concordi gli evangelisti narrano le parole dell’Angelo alle donne che si recano al sepolcro. Nella Veglia Santa di questa Pasqua 2020 ascolteremo le parole del Vangelo di Matteo.
“L’angelo disse alle donne:Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto”. (Mt 28,1-10)
Sì la paura trova la risposta nella Risurrezione di Cristo. È incontrata dalla luce di Pasqua. Le lacrime sono asciugate dalla Buona Notizia. Il Risorto ci dà appuntamento oltre e fuori della nostra paura.
I cristiani, che si lasciamo docilmente condurre dalla parola e dall’esempio del Signore Gesù, non possono cedere alla paura, ad un clima che favorisce la paura, così come neppure a coloro che, anche subdolamente, alimentano e strumentalizzano questo sentimento umano; non lasciamoci, dunque, prendere e vincere dalla paura!
Alla sequela di Cristo ci lasciamo, certo, interpellare dalla sua passione, dalla sua morte, ma ancor di più dalla sua risurrezione.
Cristo è morto sì, ma è risorto! La morte non è stata l’ultima parola nell’esistenza temporale di Gesù, non lo è neppure per i discepoli, per ogni uomo. La morte è stata vinta.
Nella resurrezione di Cristo cogliamo quella luce invincibile che emana dalla sua stessa persona: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1, 4-5). I discepoli alla luce di questo avvenimento leggono e rileggono continuamente la loro esistenza, la storia, il tempo.
Il mistero pasquale è stato, è e rimarrà sempre una chiave di comprensione di ogni evento temporale fino alla fine dei tempi. Per noi discepoli del Signore la sua Resurrezione è l’autentica intelligenza della fede.
Ci permette di entrare sempre più e meglio dentro il significato profondo delle cose, della realtà, della vita in generale. Ai due discepoli di Emmaus che ritornano da Gerusalemme tristi e ripiegati in loro stessi, dopo tutto quello che è accaduto, è Lui, il Cristo Risorto, che apre loro la mente e il cuore ad una comprensione nuova e più profonda degli avvenimenti che avevano vissuto: “apre loro la mente alla comprensione delle scritture” (Lc 24, 45.)
Anche noi lasciamoci raggiungere dal Cristo Risorto che, mettendosi accanto a ciascuno di noi, sostiene il nostro cammino e ci aiuta a leggere tutti questi eventi: il coronavirus, le morti, le paure, le angosce, le solitudini, le povertà, il nostro essere soltanto umili e fragili creature, il nostro non essere onnipotenti. È Lui, il Signore Risorto, che ci mette nelle condizioni di vivere in modo diverso la realtà, la nostra vita, e ridonarle sempre un significato nuovo. È Lui che fa nuove tutte le cose (cfr. Ap 25, 5).
Gesù il Signore è il significato profondo della nostra esistenza, egli è “l’Alfa e Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine” (Ap 22,13). Per questo San Paolo ci ricorda che “se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1 Cor 15, 14).
È come se dicesse ancora, a noi oggi, se Cristo non è risorto la nostra vita non ha senso, non ha senso lavorare, affaticarsi per tante cose, amare, impegnarsi per la giustizia, lottare per i più poveri, per la pace e la fratellanza tra i popoli. È la resurrezione di Cristo che inonda di luce tutta l’esistenza dell’uomo e le infonde coraggio ed entusiasmo sempre nuovo. L’annuncio dei discepoli parte da questo evento centrale, cruciale, fondante.
Il cristianesimo non si regge senza questo avvenimento. Per noi credenti è l’evento per eccellenza! I discepoli come attesta il libro degli Atti degli apostoli con grande forza hanno sempre annunciato il Risorto, il Vivente, il Signore.
La gioia della Resurrezione ha abitato e continua ad abitare l’annuncio e la testimonianza dei cristiani. Noi siamo discepoli missionari perché Cristo è Risorto.
La gioia di questo evento abita così profondamente la nostra vita che per la sua travolgente novità non possiamo tenerla solo per noi, esige di essere comunicata, partecipata, trasmessa ad altri, condivisa con altri. In questo senso Cristo è con noi! Egli è e rimane sempre il nostro contemporaneo.
Scrive papa Francesco nell’Evangelii gaudium: “Il Vangelo ci racconta che quando i primi discepoli partirono per predicare, ‘il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola’ (Mc 16, 20).
Questo accade anche oggi. Siamo invitati a scoprirlo, a viverlo. Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, e non mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci affida” (EG 275). Il Signore cammina con noi, lotta, soffre, vive con noi.
Per questo mi piace affermare insieme con il nostro Papa: “La sua resurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali” (EG 276).
Abbiamo urgente bisogno di questa forza senza eguali. Aneliamo a risorgere noi, ma anela a risorgere tutta l’umanità. Abbiamo bisogno di questo principio vitale!
4. Risorti con Cristo
Cristo è risorto significa che i cristiani vivono da risorti, portano risurrezione e vita dovunque, anche quando tutto sembra cupo, oscuro, senza alcuna speranza. Il cristiano lotta sempre per un mondo nuovo, per una vita nuova, per un’esistenza più dignitosa per tutti, in particolare si adopera per i poveri e gli indifesi. I discepoli del Risorto sono i discepoli dell’amore senza limiti.
Il discepolo ama senza aspettarsi nulla in cambio, ama in eccedenza, gratuitamente e generosamente, ama sempre di più! Nel Cristo Risorto siamo chiamati a scorgere questo amore senza limiti; Egli ha oltrepassato il limite, ha sconfitto la morte per sempre. In questo amore inesauribile non c’è più la paura, non c’è più il dolore, non c’è più la morte, ma la vita senza fine. I discepoli hanno potuto, allora, annunciare il Vangelo in forza della risurrezione di Cristo.
È la ragione per cui, anche noi, non possiamo lasciarci vincere da sentimenti di tristezza, di sfiducia e di pessimismo: “Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, e non ci mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci affida” (EG 275).
Il cristiano non si lascia rubare il Vangelo perché non si lascia rubare la Resurrezione che è il principio vitale dell’annuncio evangelico stesso. Perciò i cristiani sono sempre degli inguaribili ottimisti! In Cristo Risorto siamo chiamati a vivere da risorti e a portare ovunque risurrezione.
Chiediamocelo con forza, noi oggi, come dobbiamo portare risurrezione nella nostra vita, nelle nostre comunità ecclesiali, nelle nostre case, nella società, nell’impegno missionario, nella carità verso le persone più povere, più fragili, più sofferenti. La nostra chiesa lametina si propone di assumere e di farlo sempre più proprio, questo principio pastorale, che guidi incessantemente ciascuno nel proprio cammino di discepoli del Signore.
È nostro vivo desiderio lasciarci condurre anzitutto dalla gioia della risurrezione, assumere pensieri e stili di vita pieni di luce e speranza. Convinti che nella misura in cui viviamo la e della risurrezione di Cristo saremo portatori di risurrezione dovunque.
Per questo vogliamo mantenere fermo il proposito di immettere nella storia che stiamo vivendo un punto di vista differente, il punto di vista del Vangelo, che ispiri pensieri e comportamenti, che animi il nostro vissuto ecclesiale e sociale, che ponga, prima di tutto noi cristiani della Chiesa di Lamezia, in uno stato permanente di missione, perché viviamo di quella sana inquietudine generata e nutrita dal Vangelo stesso.
Non cerchiamo le cose di quaggiù, che ci mondanizzano, ma quelle di lassù (cfr. Col 3, 1-2). Siamo, infatti, chiamati a lasciarci guidare continuamente dalla gioia del Vangelo per scegliere quei percorsi di vita che ci permettano di allontanare anzitutto il contagio del male, tutta quella negatività che corrompe la vita, ed avviare processi virtuosi: tutto ciò a partire dalle nostre case e da ciascuna delle nostre comunità ecclesiali. Scegliamo con tutto noi stessi di essere cristiani veramente risorti, gioiosi, speranzosi…
Preghiamo insieme il Signore:
Ci accostiamo a te Signore della Vita con piena fiducia.
A te che hai vinto la morte, il peccato, la paura.
Tu sei la luce che vince le tenebre. Tu sei Colui che origina e porta a compimento la nostra fede (cfr. Eb 12,2).
Tu sei la nostra speranza; Tu sei l’amore vero, generoso, gratuito, inesauribile.
Dove c’è il tuo amore, non vi è timore.
E noi riconosciamo che solo con il tuo amore riusciremo a sconfiggere l’odio e a scacciare dalla nostra vita ogni timore e paura.
Allontana da noi tutti le passioni tristi che non ci fanno essere tuoi veri discepoli, e non ci fanno essere testimoni credibili del tuo Vangelo.
Ricolma il nostro cuore di luce, di pace, di gioia.
La gioia della tua Pasqua rischiari sempre di più il nostro cammino di credenti.
Ridesta il desiderio di costruire, insieme con tutti gli altri uomini di buona volontà, di ogni razza e nazionalità, la civiltà dell’amore.
Signore Risorto, tu sai che tutta l’umanità ha bisogno più che mai di amore, di bellezza, di gioia e di pace;
ne abbiamo bisogno noi a Lamezia, in Calabria, in Italia,
in Europa, nel mondo intero.
La Madre tua Regina della Pace interceda per noi
perché siamo resi da Te missionari credibili della tua bontà,
della tua misericordia, del tuo amore senza limiti. Amen