LameziaTerme.it

Il giornale della tua città



Il territorio del sacro

5 min di lettura
Il territorio del sacro

In un anonimo condominio di un quartiere anonimo di un’anonima città di provincia, vive un’antica compagna del divino che ha reinventato il suo mondo

E se si entra nella sua orbita ci si trova improvvisamente in una dimensione al di fuori del tempo, popolata di esseri silenziosi e schivi. Se vi capita di incontrarla per strada non sapreste riconoscerla. Nessuna stravaganza la contraddistingue, nessun attributo di supereroe: si camuffa nell’ordinario perché lo straordinario è al di là della soglia.

…io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo.[1]

Saper essere nel mondo e non appartenere al mondo è una caratteristica degli artisti e dei santi, perché nel mondo si sperimenta il gioco, ma con distacco se ne svelano le regole. E’ la sapienza a guidarli fatta di mestiere e di pazienza. Il mestiere di chi conosce la materia e sa come plasmarla e la pazienza dell’attesa, l’attesa di vedere i fiori del proprio terrazzo sbocciare.

Ecco cosa si coglie del suo processo creativo: l’artista individua una forma evocativa e la reitera in tutte le possibili varianti che a loro volta generano altre forme evocative. E cosi fino alla comparsa di altre forme in sé compiute che meritano di essere indagate. In questo processo creativo, sperimentato ad esempio nei Portatori o nei Contenitori[2], si può individuare da una parte il corso fondativo dell’arte occidentale (è proprio così che gli scultori greci del mondo arcaico reiteravano il modello con pochissime varianti), dall’altra lo sviluppo del  moderno design (pensiamo alla declinazione di una serie con i suoi infiniti optional). Ed ogni forma cela una sorpresa, una riflessione, un pensiero.

Dico dunque che gli Scultori, come dotati forse dalla natura, e dall’esercizio dell’arte di miglior complessione, di piu sangue, e di piu forze, e per questo piu arditi, e animosi de’ Pittori, cercando d’attribuir il piu honorato grado all’arte loro, arguiscono, e provano la nobiltà della Scultura primieramente dall’antichità sua, per haver il grande Iddio fatto l’huomo, che fu la prima scultura (…)”[3]

E’ proprio la scultura ad esercitare l’azione creativa, che è prerogativa di Dio, ed esprime la volontà d’essere come simulacro e compagna. Per questo osteggiata e negata da tutte le forme di integralismo, vilipesa e distrutta negli atti di ribellione, esaltata e venerata da popoli bambini.

In tanti si sono occupati di raccontare criticamente l’opera di Saladino[4]. In queste brevi note si vuole evidenziare il suo sconfinamento nel territorio del sacro: il luogo in cui la memoria del mito confluisce nella tradizione cristiana[5]. Nelle ultime opere i temi sono proprio religiosi, ma resi in una veste insolita: nessun patetismo, nessuna concessione al naturalismo, nessun indugio voyeurista.

Nel Figliol prodigo,[6] ad esempio, tutto si concentra nel gesto. Queste sagome piene, appagate nell’abbraccio, si fanno accarezzare e, al tempo stesso, ci fanno sentire l’assenza, la mancanza di un contatto salvifico.

Il Cristo Crocifisso[7] porta scavato nel suo corpo il segno della croce e gli strumenti del martirio: un Cristo che ha accettato di farsi carico, dentro di sé, delle croci di tutti. Nel bianco della ceramica spiccano accesi i colori della croce, perché lieve dev’essere il suo peso.

Così come San Sebastiano ha frecce colorate che gli oltrepassano il corpo, in una condizione di immobilità sospesa. Non si tratta di irriverenza, ma di leggerezza, quella lievità dello spirito che ci aiuta ad attraversare la vita, malgrado tutto. E così questi esseri mutili e bucati percorrono tutta la storia, contaminando e mescolando ideologie e credi, icone e forme, come da sempre è avvenuto.

Non ci meraviglia, pertanto, ritrovare in Danza egea[8]  l’eco della Visitazione di Pontormo che fa sobbalzare i bambini attraverso il passo di danza delle madri, in una visione nella quale i personaggi si raddoppiano. Nella scultura non è necessario: basta cambiare prospettiva. Forse è proprio questa l’opera più dinamica: un incontro tra il mondo antico e il Cristianesimo, intriso di riferimenti e iconografie antecedenti.

Un ultimo cenno a Genio sospeso,[9] scultura simbolo dell’isolamento, del distanziamento sociale, della separatezza dei nostri giorni: una sorta di figura condominio che ospita, nelle sue cavità, attese, solitudini, desideri. Una figura che unifica e sostiene ma sembra non essere più percepita dalla contemporaneità: non sappiamo più approfittare del tempo sospeso, di una pausa rigenerante.

Sebbene le opere di Saladino si presentino secondo direzioni arcaiche (frontale e laterale), esse si offrono come superficie, pelle e, alla stregua  delle opere surrealiste di Magritte, attraversano e oltrepassano la realtà, evidenziando paradossi e aberrazioni.

Il privilegio di aver incontrato questi esseri tutti insieme, suscita un’altra riflessione: il rapporto con il luogo come scelta identitaria.  Le opere di Saladino ci mostrano radici, appartengono a un territorio di antichi Eroi e di Santi estatici: da questa terra affiorano. Contraddicono ancora una volta l’essenza nomade dei nostri tempi  – il lavoro, la realizzazione, la visibilità, la carriera, la corsa verso un altrove.

Ora che ho presente al mio spirito tutto questo: coste e promontori, golfi e insenature, isole e penisole, rocce e  arene, colline boscose, dolci pascoli, fertili campi, fioriti giardini, questi alberi ben curati, e i tralci pendenti e i monti che toccano le nuvole e questo ridente susseguirsi di pianure di scogli e di dune, e il mare che tutto abbraccia con tanta mutevolezza e molteplicità di volti, ora l’Odissea è davvero per me una parola viva.”[10]

Ma quale luogo potrebbe ospitarli? Quale città metafisica potrebbe far loro da sfondo? Questi esseri ci inquietano e ci interrogano ma vivono di silenzio e nella loro immobiltà ci annunciano e rivelano tempi nuovi e mondi nuovi.

[1] Tratto da: La Bibbia, Proverbi 8, 30-31

2 Una sorta di Urne ritrovate o Capsule del tempo nelle quali sono custodite memorie personali e collettive già evidenziate da Teodolinda Coltellaro nel catalogo della mostra Antonio Saladino, Reperti contemporanei MARCA nov.18-gen.19, Sivana Editoriale

[3] G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, proemio

[4] Si rimanda all’ampia bibliografia contenuta nel catalogo della mostra cit. a cura di T. Coltellaro. Cfr. anche M. Rosaria Gallo, Antonio Saladino. I portatori offerte non richieste, Museo civico di Taverna, Galleria d’Arte contemporanea, 2010 e Eduardo Alamaro in Vaso Lamezia esposizione 2007

[5] cfr Simone Weil, André Weil, L’arte della matematica, Adelphi, 2018  e S. Weil, La rivelazione greca, Adelphi, 2014

[6] Scultura in ceramica dim. collocata nella Chiesa di San Benedetto in  Lamezia Terme

[7] Scultura in ceramica dim. Collocata nella Sacrestia della Chiesa di San Benedetto in Lamezia Terme

[8] Titolo provvisorio della scultura in ceramica realizzata nella primavera del 2020

[9] Titolo provvisorio della scultura in ceramica realizzata nella primavera del 2020

[10] Tratto da: J.W. Goethe, Viaggio in Italia, Mondadori, 2016, traduzione di Emilio Castellani, pag.359

Giuliana De Fazio

Click to Hide Advanced Floating Content