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Intervista all’on. Agazio Loiero

13 min di lettura
Agazio Loiero

Agazio Loiero, nato a Santa Severina in provincia di Crotone nel 1940, è un politico di lungo corso

Più volte Parlamentare, Sottosegretario, due volte Ministro, ha inoltre ricoperto la carica di Presidente della Regione Calabria dal 2005 al 2010.

Dopo aver concluso il suo ultimo impegno politico da Governatore regionale, da allora si dedica maggiormente alla famiglia, anche se la politica è un qualcosa che non scompare mai totalmente quando la si ha dentro…

Gatto – Presidente Loiero, intanto bentrovato e grazie
per aver accettato la mia intervista.
 

Loiero – Grazie a Lei per essersi ricordato di me…

Gatto – Partiamo, dunque, con la prima domanda…

  1. Com’è cambiata la politica di oggi, rispetto a qualche decennio fa?

Il cambio possiamo dire sia radicale. Basti pensare che la gente non va più a votare. C’è un astensionismo feroce, che falsa il risultato elettorale quasi sempre. Perché una cosa è essere votati dal 60-70%, altra cosa è l’affluenza che vediamo nei giorni d’oggi. Nell’immediato dopoguerra, nel ’46, eravamo a cifre iperboliche e si capisce, ovviamente, anche il perché dato che dopo 20 anni di dittatura la gente allora andò a votare, portandosi dentro, insieme, un senso di liberazione ma anche di protagonismo. Tenga conto che per la prima volta votarono anche le donne. Era il trionfo della capacità decisoria data all’elettorato. Negli ultimi tempi non è più così. E certamente la politica ha le sue colpe. È cambiata in maniera radicale. Ad esempio, sono morti i partiti, i quali erano un tramite eccellente tra la società civile e le proprie istanze. Se si pensa che un tempo nei partiti per entrare serviva addirittura un implicito esame per capire chi entrava che tipo fosse, gli si somministrava una sorta di screening. Questo avveniva soprattutto nel vecchio Partito Comunista, perché in quel caso si abbracciava una ideologia che restava per sempre, talvolta addirittura mettendo il bene del partito davanti all’interesse generale. Citando, come esempio, un altro partito della Prima Repubblica, nella vecchia Democrazia Cristiana era abbastanza diverso. Nella D.C. si entrava liberamente, ciò non significa che non si badasse a chi fosse la persona che aderiva, però si guardava sempre ai nuovi quadri con l’obiettivo fondamentale del partito che era privilegiare la collettività e la solidarietà e anche una potenziale capacità di governo, rispetto al fascino dell’uomo forte. Ciò era necessario in particolare non solo perché era vocata al governo ma anche perché vi era costretta, visto che il Pci, malgrado crescesse di elezione in elezione, non era per i suoi legami internazionali utilizzabile ai fini governativi. Tra l’altro, essere votati al governo sempre, paradossalmente, è un limite per un partito. Per cui poteva capitare anche di imbattersi in personaggi non gradevoli nello stesso partito. C’era infatti chi magari ne approfittava e utilizzava il potere, che è un afrodisiaco invincibile, a fini personali. Quindi, a me genericamente non piace avere nostalgia perché lo trovo un sentimento decadente, poiché se ci si deve rivolgere al passato per essere felici c’è qualcosa che non va, considerato che la vita è fatta di presente e soprattutto di futuro: però non v’è dubbio che la differenza rispetto ad allora è enorme e la complessità estrema della politica d’oggi rinvia in forma naturale al tempo passato.

La prima Repubblica era nata con persone, di tutti i partiti, che venivano da esperienze diverse. Alcuni addirittura venivano dal confino, altri dal carcere, quindi c’era uno spirito certamente diverso.

La seconda Repubblica parte certamente con la discesa in campo di Berlusconi nel 1994 che, diciamo così, nasce su una tragedia che è quella di “mani pulite”.  Non intendo dilungarmi a lungo su questo periodo. È pur vero che fu trovato molto liquame nei partiti però il metodo di indagine, con gli interrogatori effettuati con le manette in bella vista sul tavolo non rappresentava sicuramente un modello di civiltà giuridica nella patria di Cesare Beccaria.

Oggi, invece, abbiamo sempre più la politica dei social che tende a dire falsità, nella quale ognuno si sente qualcuno. Per carità è giusto che ognuno si senta quello che vuole, però se ad esempio un politico come Trump, ex Presidente della più grande potenza del mondo, dice in un anno 1.343 bugie certificate come è stato stimato tempo fa in una ricerca dal New York Times, allora non c’è più né storia né realtà. Si vive su un mondo aereo per così dire, dove tutto è falsificato. Per cui, l’astensionismo che certifica disaffezione e sfiducia nella politica è accentuato dalle leggi elettorali le quali negli ultimi tempi s’incaricano di scegliere da Roma le candidature e non sui territori.

Agazio Loiero

  1. Un consiglio che si sente di dare ai giovani impegnati in politica?

Di impegnarsi sempre di più e con sentimento. Oggigiorno tra i giovani è alto lo scetticismo. Bisogna capire però, molto semplicemente, che se tu non ti impegni in politica o, comunque, non ti interessi della politica, comunque la politica si occupa di te. Ed è un errore mettersi fuori dalla discussione politica. Per cui bisogna superarlo questo scetticismo anche se in parte è giustificato, e la giustificazione risiede nel fatto che si è abbassato anche il livello della classe politica, perché se si scelgono i candidati come dicevamo nella risposta precedente, cioè si affida al segretario del partito romano la compilazione della lista, è chiaro che la scelta ne risente. Per cui, serve capire che la politica è l’elemento decisivo della vita degli uomini. Nell’immediato dopoguerra furono tanti i partiti che abbracciarono la democrazia. Adesso invece abbiamo più autocrazie che democrazie. Oggi è facile osservare come una multinazionale conta più del Governo di un Paese nel quale la multinazionale insiste. Nella Grecia del V secolo, quella democrazia luminosa di quel tempo lontano, nel discorso che Tucidide mette in bocca a Pericle c’è un passaggio in cui quest’ultimo afferma “un uomo che non si interessa alla politica noi non lo consideriamo innocuo, lo consideriamo inutile” che è l’epiteto peggiore che si possa affibbiare ad un individuo. Per cui, anche se sono un po’ sfiduciato sotto questo aspetto, mi sento di dire che bisogna saperli coinvolgere i giovani. Anche se tra i nostri ragazzi la delusione è tanta. Essi non riescono a intravedere il proprio futuro. Noi il futuro lo abbiamo avuto ma per i giovani di oggi è molto difficile. Con il mondo del lavoro che è cambiato, in maniera drastica rispetto a 20 anni fa, non è facile. Giusto per fare un esempio: 30 anni fa l’azienda più grande del mondo era la “General Motors” che aveva circa 500 mila addetti e aveva un introito di 80 miliardi all’anno; oggi l’azienda più grande del mondo è l’Apple che riesce ad avere circa il quintuplo in più di utili con pressoché 100 mila persone. Per cui si comprende come sia difficile accedere al mondo del lavoro se non attraverso un percorso ed una preparazione specialistici. Se il mondo giovanile si dedica totalmente ai social e non alla scuola vera, e se lo Stato non riesce a perseguire appieno questa strada, qualche problema sorge. 

  1. Un momento che ricorda con maggior piacere e un momento invece più impegnativo durante tutto il suo percorso politico?

Partiamo da quest’ultimo. Nel 2009 sono stato convocato dal Consiglio dei Ministri a guida Silvio Berlusconi. Premesso che io avevo conosciuto molto bene Berlusconi poiché eravamo, per mero caso nella bicamerale presieduta da D’Alema, seduti gomito a gomito e per 9 mesi siamo stati così con lui per ore e ore al giorno quindi l’ho conosciuto bene. Mi convocò ufficialmente in Consiglio dei Ministri per ricevere delle comunicazioni. Sono andato lì, immaginando cosa volesse fare però non ne avevo la certezza. Mi comunicò che il C.D.M. voleva commissariare la sanità calabrese con una persona diversa dal Presidente. Fino ad allora c’era stato qualche commissariamento però era sempre stato il Presidente ad essere nominato commissario con poteri speciali. Davanti a tale fatto risposi che non potevo mai e poi mai accettare una proposta del genere. Ho ricevuto in quella occasione attacchi dai Ministri della Lega, dato che avevo già scritto 2 libri in aperto contrasto con tale partito. Confesso che mi sono difeso bene. Avevo detto al Presidente Berlusconi “voi potete tranquillamente procedere però se voi lo fate io mi dimetto seduta stante. La Calabria non sarà la Lombardia ma io sarò il primo Presidente di Regione che si dimette nella sede del Consiglio dei Ministri”. Lui a quel punto ha sospeso momentaneamente la mia audizione continuando il consiglio con i propri Ministri, riconvocandomi dopo circa mezzora e comunicandomi che avevano deciso anche con un po’ di fatica, a superare il personaggio esterno e che il commissario sarei stato io con tutti i poteri particolari che ne susseguivano. Io gli risposi “Presidente la ringrazio ma io non ho alcun problema in giunta”. A questo punto mi ha guardato in modo strano. Io ho continuato il mio discorso con fermezza, porgendo le mie scuse ho ribadito che non accettavo la storia del commissariamento neanche se il commissario fossi stato io, sia perché non amo in genere l’istituto del commissario sia perché nella finanziaria era previsto che in caso di commissariamento le tasse dei calabresi si sarebbero automaticamente alzate al massimo. Tasse che, nel silenzio assoluto, i calabresi pagano da oltre 13 anni perché dopo la mia uscita di scena il presidente succedutomi accettò il commissariamento. Comunque, a quel punto, avendo io ribadito che nel caso avessero nominato me come commissario anche in questo caso io mi sarei dimesso da Presidente della Giunta, Berlusconi si adombrò. Ha sospeso nuovamente la mia audizione, riunendosi nuovamente con il C.D.M. e alla fine mi ha fatto rientrare, per la cronaca sono rientrati tutti i Ministri tranne quelli della Lega, e mi disse che per il momento del commissariamento della sanità calabrese non se ne sarebbe parlato. Io mi sono alzato l’ho apertamente e sentitamente ringraziato e quando stavo per andarmene, invece che farmi accompagnare dal sottosegretario Gianni Letta, mi accompagnò lui all’ascensore dimostrandomi stima e parole di apprezzamento. Questo è stato certamente il mio momento più impegnativo ma anche il più carico di soddisfazione.

Tra i momenti belli, invece, qualche amico mi ricorda sempre che sono stato l’unico Presidente di Regione che ha avuto l’onere e l’onore di parlare all’Onu.

Ma per me, ciò che ricordo con maggior piacere, invece, sempre da Presidente, è il grande supporto che ho dato a Mimmo Lucano Sindaco di Riace. In quegli anni feci fare, da un grande tecnico del settore il prof. Schiavone di Trieste, una legge per l’accoglienza. Dopodiché decido di portarla in Consiglio Regionale dove c’era in quel periodo un po’ di fibrillazione. Aprendo io stesso i lavori dissi di aver preparato tale testo e che mi sarebbe piaciuto se fosse stato votato da tutti. Aggiunsi “ricordo che fino a 30 anni fa una famiglia su due, in Calabria, era toccata dal fenomeno dell’emigrazione. E in ricordo di quel passato, che ci accomuna tutti, indipendentemente dalle appartenenze politiche, invito tutti quanti voi a votare a favore di questo provvedimento. Si tratta di un caso che tocca il nostro comune destino. Quindi non c’è né maggioranza né opposizione”. A quel punto il capogruppo di Forza Italia ha chiesto la sospensione di 5 minuti e dopo essere tornati in Consiglio riprese la parola comunicando che quella legge sarebbe stata votata all’unanimità affermando “perché abbiamo una memoria ancora viva del nostro passato”. Quella è stata una cosa bellissima. Devo dire la verità, un po’ di emozione ritorna anche oggi mentre parlo con lei. Vede, tra 20 anni la popolazione dell’Africa sarà 6 volte quella di oggi. Qua la gente verrà a milioni altro che migliaia. Se noi non arriviamo preparati, come Italia e come Europa, davanti a questo fenomeno saremo travolti. E non saranno certo accordi come quello con l’Albania che risolveranno il problema. Noi l’abbiamo depredata l’Africa, diciamo la verità. È possibile che una multinazionale può avere miliardi mentre la gente muore di fame? Non deve essere solo l’Italia che sui confini deve farsi carico di questi problemi, deve essere tutta una politica di sistema. Non è normale che in 10 anni siano morte circa 26 mila persone in mare, dei quali tanti minori non accompagnati che nella stragrande maggioranza dei casi sono figli di 5-6-7 anni che i genitori mettono su una barca che al 30% può fare naufragio. Lo fanno nella speranza di una vita migliore.

Agazio Loiero

  1. Se si guarda indietro, cambierebbe qualcosa nel suo impegno politico?

Beh chiunque guardandosi indietro cambierebbe almeno qualcosina della propria vita. Ho fatto diversi errori, nessuno ne è esente. Però devo dire, in linea di massima, nel rapporto con le persone, ho avuto poche delusioni e credo di averne date poco o niente. Nella fattispecie, considerando gli amici con i quali ho fatto un percorso politico insieme posso dire che ho sempre avuto affetto e loro si sono sentiti ricambiati. Me ne accorgo anche dal fatto che ancora oggi tante persone mi chiamano per un problema o magari per un parere. Io non faccio politica da anni. Ma laddove posso, cerco sempre di essere d’aiuto, magari sbagliando o dando consigli sbagliati perché nessuno di noi è perfetto. Però certamente resta il legame con tante persone. Devo dire che mentre sono stato Presidente ho avuto anche molte situazioni spiacevoli, molte minacce. Ma da quando non faccio più politica, mi capita di godere di una certa popolarità postuma iniziata circa 3-4 anni dopo la fine del mio mandato presidenziale. Me ne accordo dal sentimento popolare, dalla gente quando mi parla e da come mi parla. Tra l’altro penso di non meritare tutto ciò e non voglio fare il modesto. Per cui tornando alla domanda, grossi cambiamenti guardando al passato non ne farei. Posso dire di aver avuto sempre equilibrio nella mia vita politica e personale.

  1. I pro e i contro di essere Governatori della Calabria?

Il potere del Presidente di una Regione è molto grande, perché la Costituzione ricorda che il Presidente di Regione viene eletto direttamente con un vincolo costituzionale e questo vincolo non ce l’ha, facendo le dovute proporzioni, neanche il Presidente del Consiglio poiché deve avere la fiducia in Parlamento mentre il Presidente della Regione è eletto direttamente dal popolo. Questa condizione di potere, che quando ce l’hai ti fa compagnia, però la mattina ti fa alzare magari un metro da terra quando esci da casa e vedi un’umanità quasi deferente nei tuoi confronti. Però se ti fa andare un metro in su e poi non hai la cultura per scendere con i piedi per terra, i problemi, sia quelli politici sia quelli umani, ti sfuggono. Perché pensi che quel potere durerà in eterno ma non è così. In queste occasioni, avere studiato, avere letto qualche libro con i suoi nessi e i suoi rimandi e quindi capire che il potere spesso è effimero, sicuramente aiuta molto. Quindi possiamo dire che pro e contro sono molto legati, possono coincidere ma dipende dall’approccio che si ha. In base a ciò i pro possono diventare contro e viceversa.

  1. Da circa un anno e mezzo abbiamo il primo Presidente del Consiglio donna. Lei non è annoverato certamente tra i detrattori ma comunque non ha risparmiato anche alcune critiche. Qual è il suo punto di vista in merito?

Le posso dire che dal punto di vista temperamentale il presidente Meloni non mi piace. Spesso risponde piccata, come se fosse ancora all’opposizione mentre quando si arriva al governo si rappresenta tutti e bisogna mettere un po’ da parte lo schieramento dal quale si proviene. Magari, certamente, tenendo in vita le istanze e i valori dei quali si è portatori. Ma, a parte questo, devo dire che lei si è rivelata migliore di come io pensassi. Cioè, nel senso che lei ha scuola e si vede. Si barcamena bene, ha buoni riflessi. Naturalmente come capitato a molti, ultimo all’ex Premier Conte, quando l’atmosfera italiana diventa pesante ci si rifugia all’estero dove hai un’estesa ribalta mediatica per tutta una serie di incontri. Tuttavia devo anche dire che ha una compagine di governo che secondo me, tranne qualcuno, non sarà certo ricordata tra le migliori della storia della Repubblica.

  1. Contrasto alla criminalità e politiche del lavoro restano probabilmente i punti principali da affrontare in Calabria, come si può ovviare a ciò?

Sulla criminalità è una tragedia per noi, perché ancora oggi dire di essere calabresi fuori dalla nostra regione capita talvolta di essere segnati a dito.

Anche perché la ndrangheta ha invaso tanti territori. Questo finisce per accentuare in negativo alcuni stereotipi che gravano sulla nostra esistenza da tempi immemorabili. L’americano Walter Lippman – parliamo degli anni 60 del secolo scorso – è stato uno dei più grandi giornalisti del mondo e disse una cosa bellissima in un suo libro “quando uno stereotipo si consolida nella mente di un uomo, tutto quello che procede in contrasto allo stereotipo la mente lo respinge mentre tutto quello che procede invece a favore dello stereotipo la mente lo recepisce con facilità”. Naturalmente ci sono calabresi di valore straordinario dappertutto in ogni campo. Ad esempio, io da qualche tempo vivo 6 mesi in Calabria e 6 mesi a Roma, ed ho conosciuto tanti corregionali di valore supremo. Vorrei citare, in particolare, il mio amico Franco Romeo, che purtroppo da poco non c’è più. Era un cardiologo interventista di grande qualità. All’epoca io lo invitai a fare l’Assessore alla sanità e lui mi disse “i miei pazienti ci malediranno entrambi se accetto” per cui l’ho invitato a fare solo il mio consulente. Era Direttore di Cattedra di Tor Vergata ma ogni mese faceva una capatina nella nostra Calabria. Ritornava perché voleva restituire qualcosa al territorio.

  1. Una esortazione o un augurio che si sente di fare ai calabresi?

Ai calabresi auguro intanto di andare a votare poi di trovare persone oneste ma che soprattutto amino questo posto, perché l’amore sembra una cosa lontana dalla politica ma è il nesso profondo tra uomo e territorio. Io avverto un legame fortissimo con la mia terra per molte ragioni che attengono alla mia biografia. Però spesso alcuni calabresi, non molti, che ho conosciuto fuori, e che hanno visto cambiare in peggio la regione, non intendono più ritornare nella nostra terra. E questa è una grave perdita. Una ferita. Quindi, servono politici che sappiano rappresentare questa nostra difficile terra con un sentimento di amore forte e con una conoscenza altrettanto forte dei problemi che ci angustiano. La politica, quella vera, deve infondere, prima di ogni altra cosa, speranza, senso del futuro. Diversamente è un’altra cosa.

Antonio Gatto

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