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Io non so parlar d’amore

4 min di lettura

innesti contemporaneiC’è un teatro anzi un progetto di teatro, quello di Innesti Contemporanei 2017 con la direzione artistica di Saverio Tavano, giunto alla II edizione, che continua a cercare e a proporre, al di là della semplice rappresentazione e del mero intrattenimento, l’essenza, il rizoma del teatro e dello spettacolo.

Succede che tra i tanti titoli in cartellone, quest’anno, nell’imponente Castello Normanno di Squillace, ce ne sia uno leggero e delicato come un filo di capelvenere. Uno spettacolo che viene replicato da 14 anni. Nel 2003 ha vinto il Premio Speciale della Giuria del Premio Riccione Teatro ed è stato tradotto in tante lingue (francese, inglese, polacco, cinese mandarino e cantonese).

Mari è il titolo e del mare ne conserva l’increspatura della superficie  e la profondità. Tino Caspanello ne è l’autore e l’interprete insieme ad una lunare, eterea quasi, Cinzia Muscolino.

“Non dire, leggere, recitare solamente le parole che, di solito, m’invento per la scena, ma esserlo. Così scriveva Enzo Moscato di un suo spettacolo del 1997. Ed è questa la rara alchimia che Tino e Cinzia sono riusciti a (ri)creare sulla scena.

Un pescatore e la sua donna che lo aspetta a casa. Il mare è il non luogo che accoglie la solitaria ritrosia di lui e la sotterranea inquietudine di lei. In un gioco scenico calibratissimo e rigoroso inizia la schermaglia su direttrici non convenzionali con movimenti lenti e reiterati mentre le voci cullano una ondosità lontana.

Setacciando la sabbia della memoria, in una dimensione quasi onirica, principia il viaggio nella disarmonia delle loro esistenze. Lui non sa parlare d’amore, lei vorrebbe ascoltare parole d’amore. Ma è il mare a dettarne il loro ritmo misterioso…

La dura compostezza del discorso viene disarticolata, sciolta e le parole diventano d’acqua: docili, duttili, accomodanti, infiltrative come le correnti sottomarine o aguzze e sciabordanti come la spuma che schiaffeggia gli scogli:
– Chi fazzu, ti spettu?
– No, vattinni.
E ppi mmanciari, ti spettu?
No, mancia. A mmia non ci pinzari.
Avia fattu u pisci cu ddu pumadoru a „nzalata, t‟u lassu?
No, non n‟ haiu fami. Mancittillu tu u pisci.

Mentre in un insolito fuori programma Mina canta “Parole parole parole”.

Fili di parole legate dal gioco sottile di sinapsi intermittenti. L’onda della memoria avanza, rotola, monta e s’infrange sullo scoglio doloroso e aguzzo dell’oblio. Si ritrae intimidita, sconfitta, pudica sollevando gocce di sale impalpabile e amaro.
E iò non t‟u sacciu diri. Pari… pari ch‟i paroli n‟e canusciu, mi pari chi non n‟avemu paroli pi ddiri chiddu chi pinzamu. Parramu, parramu e ittamu sulu aria: manciasti, durmisti, travagghiasti, si‟ stancu? A ddumani penza Diu. E ccu sti paroli ni inchemu a bbucca. Nni canusci autri, tu?

L’alfabeto dei sentimenti è circoscritto al lessico della quotidianità manciasti, durmisti, travagghiasti…

La tenerezza affidata a gesti sospesi Mmi doli u cori! Ti vurria rruspigghiari, ma poi ritiru a manu, poi a llongu n‟autra vota, poi a rritiru…

Il bisogno di rassicurazione arranca tra frammenti balbettanti mascherati di rudezza
– E a mmia cci penzi?
– Ma comu, non ti nn‟aviv‟annari?
– Ci penzi a mmia? Picchì non mi rispunni?
– E ci staiu pinzannu.
– A chi?
– Staiu pinzannu si tti penzu.
– E cci voli tantu?
– M‟ha ricurdari.
– Hai bbisognu mi t‟u ricordi? Si cci penzi a mia, cci penzi. Chi bbisognu hai mi t‟u ricordi?
– Cci penzu.
– Veramenti?

Per stemperarsi in quel verbo “mmi ffruntu” – mi vergogno – che serve ad eclissare la pena di non riuscire a dire “ti amo”.

E poi quel gesto semplice, minimo
– Damm’a manu.
– Chi vvoi fari? Mi voi fari tuccari u mari, n‟autra     vota?
– E tu u voi tuccari?
– Sì.
– E damm’a manu.

Due mani che intrecciandosi toccano le loro anime sublimando nel silenzio la lingua dell’amore.

E il mare? ‘O mare sta facenno ‘o mare come direbbe Eduardo.

Uno spettacolo intimo e potente, inafferrabile, che si contrae e sfugge come fa l’onda dinanzi alla mano che vuole catturarla eppure si tuffa nel cuore e vi rimane come traccia mnesica.

Immensi come il mare Tino Caspanello e Cinzia Muscolino.

 

Giovanna Villella

[foto di scena Angelo Maggio]

 

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