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Klaus Davi a Rosarno: “‘ndrangheta porta il pane, lo Stato chiude le aziende”

2 min di lettura

Il nuovo documentario del massmediologo Klaus Davi ci porta a Rosarno, cittadina in provincia di Reggio nota per la folta presenza criminale.

Se la mafia è stata vinta, come recitano i politici ad ogni latitante catturato, attraverso autocelebrativi comunicati stampa, esiste un luogo dove nessuno se n’è accorto. Quello è Rosarno provincia di Reggio Calabria.

Il nuovo documentario del massmediologo Klaus Davi realizzato  in collaborazione con l’emittente reggina RTV, questa volta è stato girato nella città di 15.000 abitanti,  situata nella piana di Gioia Tauro e nota alle cronache per la folta presenza criminale e per un centro di “accoglienza” per gli immigrati teatro di diversi disordini. Davi vi si è recato nei giorni scorsi per realizzare un’inchiesta sulle emergenze che affliggono la località calabrese e per tentare di fare un punto sul peso sociale delle fortissime ‘ndrine locali.

Il video è visibile al link.

A Rosarno, regno dei clan Pesce, Bellocco e Cacciola, la ‘Ndrangheta ha subito colpi significativi per mano della magistratura e delle Forze dell’Ordine ma ciononostante si percepisce pesantemente  la lontananza dello Stato. Klaus Davi in questo documento, raccoglie le testimonianze di comuni cittadini ma anche quella di Rocco Chindamo, cognato di Tonino e Carmelo Pesce, detti i Sardignoli, coinvolti nelle inchieste sulle truffe del commercio di arance e quella di Vincenzo Pesce, detto Sciorta, ex latitante e con alle spalle una condanna definitiva per associazione mafiosa.

“La ‘Ndrangheta? La subiamo ma almeno ci porta il pane, mentre lo Stato sa solo chiudere le aziende con interdittive e provvedimenti giudiziari. A loro che costa in fondo? Loro lo stipendio ce l’hanno garantito. Ma poi perché dovremmo subire il moralismo dei soliti giornalisti? Cosa danno alla città di Rosarno? Tutti ci hanno abbandonato. Rosarno esploderà e allora si farà vivo lo Stato, ma sarà tardi”. Questi sono all’unisono i commenti degli intervistati. Una voce corale non certo all’insegna della speranza.

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