La fontana di Cafaldo: decifrato (dopo tre secoli circa) il marmo in latino
5 min di letturaSotto il suo storico arco ogni viandante trova soprascritto un memoriale a lettere cubitali, cadute ingenerosamente nel dimenticatoio da troppi anni.
Sollecitato da memorie genealogiche, anche familiari, per chi mi conosce, metto le mani al testo: si fa per dire, perché in questo caso il reperto può essere filtrato solo ad occhio nudo, o tutt’al più da ingrandimenti fotografici d’uso tecnologico.
Quanto basta, però, per provarci comunque: seguitemi!
D .(eo) O.(ptimo) M.(aximo)
A Dio che è cosa buona e grande in assoluto
Divis (e)o th(esauro) Larib(us) ac Patroni
e Patrono dei sacri focolari domestici
(di cui i Lari nell’antichità erano i garanti di ogni dimora)
grazie a questo tesoro naturale
(il dono dell’acqua, ovviamente)
necnon
(senza ombra di dubbio)
Publicae utilitati iucundissimos hos latices
Per la pubblica utilità queste gradevolissime acque
temporum iniuria
per torto del tempo
quasi deperditos in comomodiorem situm
ridotte quasi alla miseria
Vi(r) d(evotus) Franciscus Turco syndicus
Il sindaco Francesco Turco, uomo devoto,
honesto opificio colligendo curavit reparatae salutis anno 1734
ne ebbe a cura, raccogliendole con un onesto lavoro di restauro
in una disposizione (decisamente) più comoda.
Insomma, una fontana dell’illuminismo cafaldese, per quanto si abbia attestazione di essa sin dal tardo-Rinascimento, almeno dal 1576: emblema rionale nella sensibilità della buona politica, se in questo caso, un Galantuomo, un Sindaco dei Nobili, per l’appunto, ne dispose un’opera di riqualificazione.
Storie di cure cittadine d’altri tempi, sempre più minacciate, oggi, dall’incuria, come dimostra il degrado e l’abbandono in cui versa la sorgente del crocicchio, antico abbeveratoio e lavatoio lasciato a commento melodrammatico di sé: gocce stillanti ad eco di una pagina comunitaria intessuta da nostalgia.
“C’est un Capharnaum”, potrebbe dire, in un presente storico, una donna di allora: luogo affollato che, per contrasto, lascia il posto all’attuale solitudine di questo monumento sorgivo.
Il francesismo, poi, non fa che rievocare il quartiere sambiasino nella fotografia mimetica di un suono consimile che ne sottolinea la valenza comunitaria, ecco perché l’ho scelto!
Qualche annotazione ai margini dell’epigrafe si fa d’obbligo! L’espressione lympham Gafardi, visibilmente leggibile nell’ultima sezione (più precisamente in posizione mediana ed estrema del terzultimo rigo), tra l’altro in un contesto fortemente lacunoso per ricostruirne il senso, è in sostanza la trascrizione fonetica dell’antico nome di questo quartiere in fatto di pronuncia: Gafardo, allora, ovvero Cafaldo, oggi. Credo sia l’unico monumento a farci sgorgare quest’articolazione di suono, in tutti i sensi!
C’è da dire, ancora, che il traduttore di questo inciso ha una raffinata cultura letteraria; ad esempio, non utilizza mai aqua, che è voce latina più semplice, potremmo quasi aggiungere, del referente immediato ma espressioni di virgiliana memoria: al numero singolare Lympha, al plurale invece latices da latex che ricorda latices simulati fontis Averni, acqua finta del lago d’Averno, Virgilio, Eneide 4, 512.
Ma qual è il significato di Cafaldo? Come è nato questo nome? Cava ardua, alla latina, è lo scavo di terreno sovrastante il quartiere.
Slego la radice greca nel primo dei due termini succitati, per quanto “katà” dia il senso della profondità (giacché, semanticamente, vale sia per sopra che sotto), fermandomi solo alla percezione essenziale, presente nella lingua romana. Oltre a ciò, e qui mi viene in soccorso lo studio puntuale di B.
La Scala, il suffisso –ardo è tipico di un’aggettificazione con connotazione negativa o peggiorativa (bugiardo=che/chi dice bugie, dinamitardo=che/chi usa la dinamite per compiere attentati, testardo=che fa di testa sua, ostinato): sulla falsariga di questa costante grammaticale “Caf-ardo” è aggettivo sostantivato di un’area piuttosto cava, esageratamente, tra l’altro realmente esistita, ancor prima che si costituisse in tre l’attuale Lamezia Terme.
Un tratto di via non solo scavato dalle piogge ma di transito alluvionale nelle stagioni di pioggia: ben ricorda chi ha ancora davanti ai suoi occhi scene torrenziali fatte di acqua piovana, fango e ciottoli davanti alle proprie abitazioni, addirittura con vani sommersi, da quanto mi è stato riportato.
Chiarito ciò, il nome Cafaldo ha attestazioni anteriori? Sembrerebbe di no. Personalmente, in base ai miei studi filologici, penso di poterlo smentire: io lo ravviso in “Cathaldus”.
Ad esempio, il medioevale Cathaldus, di cui si ha traccia in un atto di donazione del 686 scritto in Cremona, dove si può leggere: “In nomine domini Dei et beatissimi auctoris nostri Iesu Christi et beate matris eius Marie domine nostre. Regnantes gloriosissimis domnis nostris Pertharith et Chuniberth uiri excellentissimi regibus, anno regni eorum decimo sexsto et nono…Ego Cathaldus indignus primus presbiter ut primerius ut custus Sancte Marie huic cartula donactonis et dotacionis a nobis facta subscripsimus et probaui”; tracce di questa onomastica le troviamo persino a Messina nel 1300, in un testamento infatti si legge: “et meridiem est via pubblica et a septentrione hospitium dicti Donni Cathaldi et tertiam partem bonorum et iurium suorum existentium”.
Non è difficile, foneticamente, passare dalla dentale sorda aspirata (th) alla fricativa labiodentale (f) in tanti passaggi linguistici, quantomeno sul parlato, ad essere più precisi.
Qui mi interessa, invece, sottolineare come un nome germanico imponente, passato poi a latinismo, possa aver perso la connotazione di identificazione personale per assumere significato di cosa, situazione non estranea alla grammatica, come è attestato dall’antonomasia.
Un nome ed un luogo collegati dalla smisuratezza: la cava di donna Santa, per l’appunto! E mi fermo qui, sperando che ogni studio ri-sorgente possa ridar linfa a questa storica sorgente: Sorella acqua, lo merita, stando al Cantico delle creature!
Ringraziamenti: mi tocca ringraziare per il corredo fotografico Francesco La Scala, Giuseppe Ruberto ed Innocenza Martello.
Ulteriori approfondimenti: validi gli studi archeolinguistici di Benito La Scala, che mi permetto di allegare a completamento al presente contributo, a partire da domani. Per non ignorare, la sfida di oggi!
Prof. Francesco Polopoli