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La Questione Meridionale illustrata all’Uniter dall’ingegnere Francesco Cefalì

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“L’Unità d’Italia e la Questione Meridionale oggi” il titolo dell’incontro organizzato dall’Università della Terza Età

Nel corso di un incontro dal titolo  “L’Unità d’Italia e la Questione Meridionale oggi”, organizzato dall’Università della Terza Età, presieduta da Costanza Falvo D’Urso, il professore Francesco Cefalì, laureato in ingegneria meccanica,  ha trattato il divario tra Nord e Sud, tema cruciale della questione meridionale, partendo  dal lontano 1130 allorquando il Sud risultava  unito  sotto Ruggero II d’Altavilla, re di Sicilia e duca di Puglia, il quale creò un Regno tra i più potenti d’Europa  che poi raggiunse con Federico II di Svevia il massimo livello culturale e sociale.

Dopo la sua morte il Meridione fu abbandonato e sfruttato con pesanti ripercussioni sulla condizione dei contadini ridotti quasi a  schiavi.

«Tutto ciò – ha precisato il professore Cefalì – causò un forte declino economico e sociale del Sud ovvero, come ha scritto pure il grande meridionalista Gaetano Salvemini, diede inizio  alla cosiddetta Questione Meridionale».

Prima dell’ Unità d’Italia, quindi, la situazione economica e sociale della Calabria e non solo era alquanto critica anche se nell’industria si registravano migliori condizioni per la  produzione della seta e per lo sfruttamento delle miniere di ferro e grafite di Bivongi e Pazzano che venivano trasformati in ghisa e in acciaio nel Real Stabilimento di Mongiana e nella ferriera di Cardinale. Stabilimenti che, aggiunti alle miniere di Pazzano, Bivongi e Fuscaldo, dove si estraeva il caolino per le porcellane di Capodimonte, davano lavoro a circa 2500 operai.

All’indomani dell’Unità d’Italia, i Savoia  si comportarono come un esercito straniero: saccheggiarono chiese, palazzi pubblici e privati e rubarono ogni oggetto prezioso, soppressero la libertà di stampa e di riunione, mentre  le truppe piemontesi compirono stupri, violenze, distruzioni e moltissimi omicidi. Peggiorarono in tal modo le condizioni economiche di tutto il Regno delle Due Sicilie ed incominciò l’emigrazione, quasi inesistente prima del 1860. Intanto si accentuava il divario tra il Nord che possedeva le industrie e il  Sud  dedito ad una  produzione agricola  prettamente feudale  tanto che i prodotti erano vendibili solo localmente.

La stagnazione della produzione agricola, l’assenza totale di sviluppo industriale e l’imposizione governativa di nuovi dazi su alcuni prodotti di prima necessità fecero aumentare la miseria dei ceti più poveri principalmente del Sud creando   un evidente deficit economico che  divenne più evidente  con il trascorrere degli anni. Negli ultimi anni del ventesimo secolo si è tentato di risolvere il problema del divario economico e strutturale tra Nord e Sud con i finanziamenti con i quali  furono costruiti diversi stabilimenti industriali (Bagnoli, Sir di Lamezia Terme, Crotone, Saline Joniche ecc.) risultati però sbagliati nella scelta del prodotto da realizzare.

Con passare degli anni il divario tra Nord e Sud  è aumentato notevolmente , insieme all’ emigrazione,  in quanto i fondi stanziati sono stati insufficienti e alcune volte sbagliati. Negli ultimi anni del 1900 i governi hanno investito al Sud il 32% dei fondi concessi, quelli successivi solo il 20%.

Secondo l’Eurispes, nei primi 17 anni del corrente secolo sono stati sottratti al Meridione, dai governi che si sono succeduti, ben 840 miliardi di euro che erano destinati alla costruzione  di scuole, ospedali, strade, autostrade ed altro.

Oggi con i finanziamenti del Ricovery Fund si cerca di ridurre finalmente il divario tra Nord e Sud anche se l’inizio non è incoraggiante.  «L’Unione Europea – ha affermato il professor Cefalì – nella ripartizione degli oltre 700 miliardi di Euro da distribuire ai Paesi membri, ha destinato all’Italia ben 209 miliardi di euro previsti principalmente per ridurre il divario economico e strutturale tra i territori ricchi e quelli poveri. E, secondo diversi economisti, alle Regioni del Sud Italia spetterebbe il 50% dei fondi del Ricovery Fund per la  sua promozione sociale, culturale ed economica e non il 40% come stabilito dall’attuale governo italiano».

Lina Latelli

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