La Serva Padrona, gioco d’amore in musica
5 min di letturaLamezia Terme, 12 dicembre 2017. In scena al Teatro Umberto La Serva Padrona, Intermezzo buffo con musica di Giovan Battista Pergolesi, libretto di Gennaro Antonio Federico e con l’Ensemble La Grecìa diretto da Mauro Trombetta: Alina Komissarova (violino), Sara Molinari (violino), Andrea Repetto (viola), Roberto Trainini, (violoncello), Antonio Petitto, (contrabasso).
Un evento d’eccezione presentato dall’Associazione culturale AMA Calabria, per la Stagione concertistica 2017, in coproduzione internazionale con CIDIM e Istituto Italiano di Cultura a Istanbul.
Un décor mutimediale che abbandona i vecchi pannelli dipinti per lasciare spazio alle immagini proiettate e parlanti di Rameau e Rousseau impegnati a disquisire sulla querelle des bouffons. Querelle che nel 1752 in Francia, dopo la rappresentazione dell’opera buffa di Pergolesi, divise i parigini in due fazioni inconciliabili: i difensori dell’intellettualismo capeggiati da Rameau e dai suoi accoliti e i partigiani della semplicità, della trasparenza, della calda espressività italiana con in testa Rousseau e gli Enciclopedisti. Armonia versus Melodia.
Poi le immagini mutano e ci introducono nei sontuosi ambienti della Roma del XVII secolo. Suggestiva l’invenzione di Vespina (l’anima di Vespone) che si aggira inquieta come un fantasma e la trovata dei fili delle marionette che incatenano i personaggi al proprio status social fino alla liberazione e alla presa di coscienza finali.
Eppure l’opera di Pergolesi possiede una capacità di suggestione senza tempo, merito anche del poeta napoletano Gennaro Antonio Federico, autore di un libretto dal quale emerge un vigoroso realismo comico attraverso la parodia del talento eroico e pomposo dell’opera cosiddetta seria.
Le peripezie attraversate dal vecchio bisbetico Uberto e dalla maliziosa servetta Serpina che trama un piano machiavellico per poter sposare il suo ingenuo padrone rigurgitano di picaresca vivacità. Così l’artifizio del travestimento di Vespone, servo devoto, sottomesso e muto, nei panni dell’imperioso e temibile Capitan Tempesta, immaginario pretendente di Serpina che con le sue comiche minacce farà capitolare il vecchio burbero colto da un accesso di collera fugace.
Il linguaggio diretto, incisivo e infiorato di costrutti di origine popolare contribuisce largamente alla grazia e alla causticità delle azioni. Mentre la comicità utilizza strumenti dalla efficacia riconosciuta: l’esagerazione dei caratteri, il doppio senso della maschera, che in questo allestimento è incarnato dalla figura di Arlecchino/Vespone, le incongruenze e le debolezze umane. Senza dimenticare le incursioni, sempre delicate, nel ridicolo.
Un sentimento di sana allegria suscitato dall’azione e da una musica che pare incitare ad una partecipazione quasi familiare. Come rimanere insensibili davanti al potere di suggestione immediato che suscita la satira sui vizi e sui difetti umani? Come sottrarsi alla fioritura melodica, naturale e concisa, all’incisione ritmica, all’accompagnamento leggero dell’orchestra, alla ridente spontaneità della partitura?
Felice compenetrazione tra musica e testo laddove l’idiosincrasia e il clima creato dalle parole e dalle azioni sono descritti con mirabile precisione.
Nel primo intermezzo l’ouverture è gioiosa. Uberto si veste per uscire, lamentandosi di aver dovuto attendere tre ore per il suo cioccolate. Nel recitativo che segue i suoi rimproveri sono indirizzati a Serpina. La freschezza dell’aria di Uberto “Sempre in contrasti con te si sta” è tipica della partitura ed è eseguita con grande agilità vocale dal basso Davide Ruberti. Nell’aria allegretto “Stizzoso, mio stizzoso” Serpina rintuzza ancora una volta Uberto il quale, esasperato, chiede a Vespone di uscire e di andare a cercargli una moglie. Serpina, sfacciata, si propone come sposa. Le proteste di Uberto e le profferte di Serpina “…non son io bella? / Graziosa e spiritosa?..” nel duetto che chiude l’intermezzo primo, sembrano annunciare – per veridicità psicologica – alcuni personaggi mozartiani, con un anticipo di mezzo secolo.
Nel secondo intermezzo Serpina, con l’aiuto di Vespone travestito da Capitan Tempesta, trama uno stratagemma per obbligare Uberto a prenderla in moglie. Ella descrive a Uberto il cattivo carattere del suo futuro sposo e poi, in una vivace simulazione sentimentale, aggiunge con aria patetica “A Serpina penserete” mentre i bruschi cambiamenti del tempo musicale sottolineano fedelmente il passaggio dall’ipocrisia alla sicurezza di sé. Sembra un’altra donna ma non appena intravvede un leggero mutamento sul viso del padrone “Ei mi par che pian piano / S’incomincia a intenerir” cambia anche il tempo musicale annunciando la Serpina di sempre.
La morbosa sbadataggine di Uberto “Son imbrogliato io già” e i suoi dubbi senili “Io sto fra il sì e il no” sono presentanti con intenzione semi-seria e tono semi-buffonesco e raggiungono l’acme nella frase “Uberto, pensa a te”. Riappare Serpina scortata da Vespone/Capitan Tempesta che sembra pronto ad esplodere di collera alla minima provocazione ma rimane perfettamente in silenzio, come sempre. Uberto è inorridito da quel comportamento inquietante. Ma è davvero questo il marito adatto a Serpina? Ella dice che il Capitano reclama una buona dote, in caso contrario si rifiuterà di sposarla e dovrà essere rimpiazzato da Uberto. Poi lo svelamento “Ah ribaldo! tu sei?”, le vane proteste di Uberto “È ver, fatta me l’hai…” e il delizioso duetto che sancisce l’Happy End finale “Caro. Gioia. Oh Dio!”
Lieve, pungente, disincantata e incline a un moderno sarcasmo, La Serva Padrona offre una melodia fresca e zampillante, un ritmo sostenuto e una lucidità musicale sostenuta dall’ottima l’esecuzione dell’Ensemble La Grecìa sotto la vivace guida del direttore Mauro Trombetta. Calibratissima la dolcezza e la malizia della Serpina di Ilaria Del Prete con una vocalità ricca di colori e duttilità di fraseggio, mirabile la tecnica di Davide Ruberti nel ruolo di Uberto, pieno di forza comica (pur non profferendo verbo) il Vespone di Gianni Dal Bello che firma pure la regia.
Giovanna Villella
[foto di scena Ennio Stranieri]