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La tranquillità del cinepanettone

2 min di lettura

Il testo del giovane teatrante francese Florian Zeller è alla base del debutto alla regia teatrale di Massimo Ghini: e la natura essenzialmente cinefila del suo curriculum è palese fin da quando si alza il sipario e svela non (subito) la scenografia ma uno schermo dove scorrono i titoli di testa della piece, proprio come in un film. E un film è anche la prima trasposizione del testo di partenza, quel Tutti Pazzi In Casa Mia di Patrice Leconte che perde qualche tempo comico rispetto alla scrittura, guadagnandone però in profondità.

Il debutto di Ghini nasce quindi inevitabilmente sotto il segno delle sue passate esperienze, così come inevitabilmente il pensiero va ai cinepanettoni di cui è stato, negli ultimi anni, protagonista insieme al sodale Christian De Sica. Un’Ora Di Tranquillità, sotto il canone del vaudeville, assume quindi i connotati della commedia degli equivoci: sono infatti questi ad essere lo snodo principale attorno al quale ruotano tutti i protagonisti, in un andirvieni di situazioni comiche che sfiorano il grottesco sottolineate sempre da un sontuoso tappeto sonoro (e musicale).

E il problema sta proprio qui: se Massimo Ghini è completamente padrone della scena, sobrio fin quanto basta ma sempre e comunque godibile, è la struttura drammaturgica a mancare. Similmente ai cinepanettoni che dicevamo, lo spettacolo non ha nessun sottotesto né tantomeno svolgimento narrativo, limitandosi a presentare i paradossi familiari al cui centro è proprio il personaggio di Ghini. E per quanto lui resti bravissimo, il cast di contorno non regge il confronto né il ritmo: a parte solo Galatea Renzi (la moglie nella finzione), il resto degli interpreti perdono colpi e risate in una poco divertente prevedibilità delle situazioni, dove l’unico appiglio comico sarebbe stato appunto l’appeal degli attori. E se lo spessore dei personaggi è perso in partenza nella trasposizione registica, quello di Pierre interpretato da Massimo Ciavarro riesce totalmente inesistente per l’assoluta incapacità dell’ex attore di fotoromanzi di reggere la scena.

La regia di Ghini maschera gli automatismi della rappresentazione, ma la corsa eccessiva al ritmo fa perdere quel poco di buono che la sola interpretazione dell’attore regista lasciava allo spettacolo.

Valentina Arichetta

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