Lamezia, Cantafora: “Bene comune fondamento della crescita sociale”
7 min di letturaLAMEZIA. Il vescovo della diocesi, mons. Luigi Cantafora, ha pronunciato il suo messaggio di auguri alla città per le prossime festività natalizie. Alla cerimonia nel salone dell’episcopio hanno partecipato autorità istituzionali e rappresentanti delle forze dell’ordine. Ad affiancare il pastore diocesano il vicario generale don Adamo Castagnaro e don Fabio Stanizzo, responsabile diocesano della pastorale del Lavoro. Di seguito il messaggio augurale di mons. Cantafora: “Carissimi, il tradizionale incontro di scambio degli auguri di Natale è una buona consuetudine perché al di là di ogni formalità è un’occasione di incontro, di confronto tra coloro che cercano e desiderano il bene comune, il bene presente e futuro della nostra città. Sono pertanto lieto che abbiate accolto questo invito e vi saluto tutti con affetto. Siete qui come membri di istituzioni civili e militari, ma soprattutto come cittadini desiderosi di fare bene il loro servizio. Per questo motivo in questo incontro sono stati invitati in modo particolare coloro che hanno frequentato le scuole di dottrina Sociale della Chiesa, perché siamo convinti che curare la formazione è dare visioni, motivazioni e strumenti per un cambiamento autentico di noi stessi e della stessa Chiesa, della società e delle sue Istituzioni, della cultura e delle pratiche sociali, economiche e finanziarie.
L’opera formativa della Chiesa ha l’obiettivo di motivare, a partire dalla Parola di Dio e dalla dottrina sociale della Chiesa, il senso di un impegno consapevole, libero e corretto nelle relazioni umane, nel sociale e nel politico per contribuire a un rinnovamento della partecipazione democratica per la crescita delle persone nel loro territorio e nel mondo intero.
Proprio partendo dalla Parola di Dio, San Giacomo nella sua lettera, invita a fare una distinzione tra la sapienza umana e quella che viene dall’Alto. Della prima si dice che è terrestre. L’apostolo intende sottolineare che essa si pone autonoma e spesso contrapposta a Dio, che è diabolica, cioè spinge alla separazione da Dio e alla divisione tra Adamo ed Eva, tra di noi.
La Sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di buoni frutti (cfr. Gc 3,15-17). Per incamminarsi verso questa sapienza occorre formarsi alla scuola del vangelo e della genuina Tradizione della Chiesa in modo da vivere nello Spirito.
Sono rimasto molto colpito dall’ultimo sondaggio del Censis che descrive il nostro paese come un paese non più limitato a incivili atteggiamenti rancorosi verso il prossimo! Il “bel paese” si sta scoprendo anche come “incattivito” verso gli altri con la motivazione che i “divi” non esistono più perché “ognuno prende a modello se stesso”. Siamo diventati un po’ tutti intolleranti perché al centro poniamo ogni singolo “io” e neghiamo gli altri. Siamo diventati insofferenti: le istituzioni nei confronti del cittadino e il cittadino nei confronti delle Istituzioni. Si è diffusa una mentalità di pretesa e di grande suscettibilità, mentre anche chi vuol fare bene deve fare i conti con sistemi complessi, difficili e con procedure burocratiche che sfiniscono anche i più tenaci.
Così cresce e si sviluppa una mentalità di sfiducia e di paura, di autotutela e di chiusura.
Questo fenomeno è evidente in un modo di vivere ormai diffuso: il non sopportare gli altri, la paura del diverso che si traduce poi in una strada aperta ai pregiudizi. L’essere diverso diventa, nella percezione comune, un pericolo da cui proteggersi.
Alla base di questo processo, secondo il Censis, c’è “l’assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”.
Ma dallo studio del Censis, è soprattutto forte, tra gli italiani, la paura di non riuscire nella vita. Una società che si lascia con una crescente rottura delle relazioni stabili.
In questo senso la Dottrina sociale della Chiesa si pone come uno strumento di comprensione, per il credente e per le “persone di buona volontà”: da una parte per sviluppare una visione integrale della società e dell’economia, a partire dal rispetto della dignità di ogni persona umana, e dall’altra parte per offrire luce e criteri etici necessari per fare scelte storiche appropriate, volte alla costruzione del bene comune.
Pertanto, ritenendo urgenti i temi di impegno sociale e politico, per affrontare i quali occorre essere molto preparati e molto umili, vi indico alcuni percorsi possibili di formazione.
La Dottrina Sociale della Chiesa. Dal mio arrivo in Diocesi abbiamo avviato le Scuole di DSC in diversi centri pastorali.
Molto abbiamo fatto ma molto c’è ancora da fare in termini di assunzione di responsabilità. Non si tratta tanto di implementare le scuole in sé stesse ma di impegnarsi ad approfondire la DSC e ciò che essa propone alla luce del vangelo e cioè: costruire una società sulla persona, sul bene comune, sulla solidarietà e la sussidiarietà, perché questa è la scelta determinante per il nostro futuro. Quando al di sopra di questi valori principali si mettono in gioco valori parziali (l’interesse privato, il denaro, il potere, il prestigio, la tecnica…) l’umanità viene ferita e sottoposta a pagare un prezzo molto alto.
Una nuova cultura. Studiare, diffondere, approfondire la DSC significa contribuire in modo rilevante e significativo a diffondere idee e pratiche che rispettano la dignità dell’uomo, di ogni uomo. Pertanto bisogna cominciare a dire, per esempio, che la sicurezza personale e sociale non può essere affidata più di tanto all’autodifesa; e che fomentare la paura dell’altro, del diverso ritenendolo superiore o inferiore è un grave errore poiché siamo tutti figli di Dio; che i populismi demagogici tradiscono -perché manipolano- il sentimento popolare; che è cristianamente e umanamente scorretto sostenere ancora oggi l’aumento delle disuguaglianze. Occorre dunque una rivoluzione culturale, un cambiamento radicale di mentalità, prima di tutto!
Una nuova coscienza sociale. Accanto a una dimensione teorica è necessario coltivare la responsabilità, pratica, concreta, che ciascuno deve assumersi. È finito il tempo delle deleghe. Occorre abituare le persone a fare bene ciò che devono fare, anche nel loro piccolo, assumendosi la loro responsabilità, questo rappresenterebbe già un cambiamento di sistema significativo, un tentativo di risolvere i problemi, o almeno di affrontarli. Nel nostro contesto infatti, sembra che tutti siano bravi a indicare ciò che devono fare gli altri, ma meno bravi a mettere in gioco se stessi. È necessario passare dall’arrangiarsi individualmente all’aiutarsi reciprocamente. È quanto propongono i principi di sussidiarietà e di solidarietà.
Ricostruire il tessuto sociale. Per fare ciò è necessario cambiare registro e considerare il bene comune come fondamentale per la crescita sociale. La lacerazione dei rapporti istituzionali, la sfiducia palese, l’individualismo imperante sono il freno più grande alla crescita del bene comune. Ricostruiamo il tessuto sociale prima di tutto essendo presenti in tutti gli ambienti in cui siamo inseriti, con cura e responsabilità; non essere dimissionari rispetto a un impegno di crescita delle persone; essere soggetti attivi perché il tessuto sociale si tesse comunitariamente!
Occorre passare dalle belle idee alla presenza concreta e fattiva, a un impegno quotidiano e capillare, a quella micro-responsabilità che ci rende fedeli nel molto perché fedeli nel poco, e viceversa. Essere presenti lì dove siamo: ad esempio nella famiglia, nella scuola, nelle piazze, nelle associazioni, nelle professioni, nelle aziende, nelle banche. Altrettanto, anche chi soffre per mancanza di lavoro, o di salute, o di relazioni significative, non si deve arrendere ma nemmeno deve venire lasciato da solo. Le figure che possono fare bene al paese non si improvvisano, sono il frutto di un percorso sociale importante. Occorre porre molta attenzione nel promuovere, sostenere e aiutare coloro che hanno le caratteristiche e le qualità per aiutare lo sviluppo del paese, fuori da logiche familistiche e parziali. Per questo il discernimento richiesto è estremamente esigente e urgente da maturare dentro la nostra fede
Carissimi, in questa storia e in questo presente, arriva il Natale 2018.
Il Figlio di Dio viene in mezzo a noi, nasce, vive e si dona per una precisa missione: essere segno dell’amore di Dio per il mondo, per ogni uomo.
Il Natale di Gesù è anche un nostro nascere, far nascere e rinascere e questo vale anche in un tempo di sfida al declino, come cristiani anche noi come Cristo incarnati in questo nostro presente.
Siamo invitati a scorgere il Nascente dentro di noi, negli altri, nei giovani, nella diversità, nel futuro, come la luce nella notte e la flebile aurora di un giorno tanto atteso, dopo una notte lunga e buia.
Buon Natale, amata città e Diocesi di Lamezia Terme!
Il Signore viene ancora a visitarti per darti pace e coraggio, per ridestare in te la sorgente della tua missione e la bellezza del tuo cammino come popolo di Dio. Vai avanti, incontro al Bambino che viene!
La promessa di Dio si è compiuta e noi celebriamo il compimento di questa promessa. Colui che era l’atteso è arrivato: “Un bambino è nato per noi”, annunciava il profeta Isaia. Quel Bambino è nato per noi, la sua nascita ci dona la gioia di vivere come figli di Dio nella pace, nella riconciliazione, nella speranza.
Ed ecco allora che il Natale ci spinge a diventare uomini e donne di speranza che sanno donare e portare nella storia la luce e l’amore di Dio”.