Lamezia. Flipped classroom conclusiva su Costabile al Liceo Fiorentino
4 min di letturaIl professore Francesco Polopoli, docente di latino e greco al Liceo Classico Francesco Fiorentino, lascia la voce agli studenti per concludere il percorso letterario ’23/24. Dopo la presentazione de “La bella vita” del nostro aedo sambiasino, di cui fu coautore insieme a Giorgio Petrocchi e a Pietro Citati, è seguita la visione della pellicola di Francesco Adornato. A tirare le conclusioni la studentessa Maria Grazia Fragale di 5A, alfiere della Repubblica italiana
La visione del lungometraggio che ricostruisce, con dovizia di particolari e di testimonianze, la figura umana di Franco Costabile ha permesso di inquadrare, ancor più chiaramente, quel rapporto tanto controverso che lo legava alla sua “amata e odiata” terra di Calabria.
Da bambino, egli visse il dramma dell’emigrazione: costretto a fuggire dalla disperazione e dall’indigenza in cui versavano l’esistenza sua e di sua madre, il poeta Franco Costabile rimarrà sempre legato, con vincolo indissolubile, ai ricordi cari di un’infanzia trascorsa in campagna, tra i colori e i profumi di un territorio che continua ancora oggi a soffrire, lottando per il proprio riscatto.
Giorgio Caproni, celebre critico letterario e scrittore italiano del ‘900, si recò a Sambiase per conoscere il poeta e rimase incantato dalla bellezza di una Calabria dai solidi valori contadini e religiosi. Racconta, a distanza di tempo, quanto Costabile gli sia stato d’aiuto nell’indicargli la giusta chiave di lettura, con cui analizzare a fondo le dinamiche sottese alla vita di quelle stesse comunità: sin nel profondo del loro animo era radicata la tragedia di un dolore irredento.
Come dimenticare, a questo punto, il titolo di uno dei più celebri capolavori di Carlo Levi: “Cristo si è fermato ad Eboli”? E come biasimarlo per un’affermazione così pungente, dinanzi ad una tal visione del Meridione d’Italia? A fronte di essa neppure la riflessione ispirata dei sacerdoti del luogo, come narra Caproni, era in grado di divenire costruttiva di una qualche speranza di bene.
“Voce di uno che grida nel deserto” o forse voce di uno che, dotato di immane sensibilità, acuta e profonda al contempo, mantenne viva la consapevolezza di una sofferenza collettiva e sociale, il ricordo di un grido inascoltato, la memoria di un degrado materiale galoppante.
Questo era Franco Costabile: un poeta (anzitutto un uomo) che, partendo dalle ferite aperte del suo animo, ha riflettuto su dolori universalmente condivisi.
Fu capace di sorridere e rallegrarsi, nella stessa misura in cui fu in grado di caricare le parole di significati sepolti (come direbbe Ungaretti), permeati, tuttavia, da una sempre crescente fedeltà alla realtà del suo tempo. Insomma, un poeta ermetico che si colloca nella rispettiva corrente letteraria in maniera del tutto innovativa: senza imitare le grandi personalità di Ungaretti e di Montale, Franco Costabile rinnovò la poesia di quegli anni, non cadendo mai in un mero ed effimero meridionalismo, semmai dedicandosi alla scrittura dei suoi testi con pieno rispetto della materia poetica.
Come si evince dalla visione del lungometraggio, Costabile empatizza con le difficoltà della sua terra a tal punto da farsene portavoce attivo, non prima di aver con essa dialogato a quattr’occhi. Una lodevole capacità di comunicazione, insomma, che si coglie altresì dalla raccolta antologica “La bell’età”, curata proprio da Costabile, il quale ha inserito al suo interno poche righe di accompagnamento ai testi, insieme ad altre eminenti firme della cultura italiana del tempo, tra cui Giorgio Petrocchi, grazie al quale il poeta sambiasino ebbe modo di arricchire un bagaglio di conoscenze già di per sé ricco e diversificato.
Quel sorriso che qualcuno ha ricordato con nostalgia spuntare, di tanto in tanto, sul suo volto di poeta, si scontra con un conflitto amaro, sullo sfondo di un animo lacerato dalla delusione e dall’angoscia. Sentimenti questi che lo porteranno a togliersi la vita, suscitando tristezza in quanti ne apprezzarono la spiccata abilità di vivere dando significato a tutte le dinamiche, anche quelle poco comprensibili, ad esso sottese.
«“Con questo cuore troppo cantastorie”, dicevi ponendo una rosa nel bicchiere e la rosa s’è spenta poco a poco come il tuo cuore, si è spenta per cantare una storia tragica per sempre», recita l’epitaffio scritto da Ungaretti in onore del poeta Costabile. Righe che sintetizzano mirabilmente la sua personalità controversa: vitalità e sentimento confliggono con la tensione di morte per creare una sinfonia mirabile di bellezza senza fine, di melodie mai udite.