Lamezia, il Consiglio di Stato conferma la sospensiva per Paolo Mascaro
5 min di letturaLAMEZIA. Il Consiglio di Stato rigetta il ricorso dell’ex sindaco Paolo Mascaro e conferma la sospensiva dall’incarico di primo cittadino.
Di seguito la sentenza dell’organismo di consulenza giuridico-amministrativa:
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente ORDINANZA sul ricorso numero di registro generale 2559 del 2019, proposto da Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo Catanzaro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
rappresentati e difesi dagli avvocati Dina Marasco, Bernardo Marasco, Gianfranco Spinelli, Pietro Domenico Palamara, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Paola in Roma, via del Babuino, 48; non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente scioglimento del consiglio comunale;
Visto l’art. 62 cod. proc. amm; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Omissis; Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. -OMISSIS-, con cui è stata sospesa l’esecutività della sentenza appellata; Vista l’istanza di revoca della predetta ordinanza presentata dagli appellati ai sensi dell’art. 58, comma 2, cod. proc. amm.; Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Dina Marasco, Pietro Domenico Palamara, Gianfranco Spinelli e l’avvocato dello Stato Maria Vitttoria Lumetti; Considerato che il Collegio è chiamato a pronunciarsi sull’istanza di revoca dell’ordinanza n. -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 58, comma 2, cod. proc. amm., e nei limiti, quindi, della sola verifica dei presupposti di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c.
Ritenuto che non sussistono i presupposti per la revoca, non ravvisandosi gli errori di fatto prospettati dai ricorrenti, in quanto: (a) – il nesso di derivazione dall’operazione c.d. -OMISSIS-degli elementi sottolineati nell’ordinanza come idonei ad integrare il fums boni iuris dell’appello, è indicato nell’ordinanza come indiretto – “emersi in occasione” – ed è pertanto compatibile con lo sviluppo della vicenda e con la prospettazione dell’appello, che indica nell’operazione di polizia giudiziaria coordinata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, appunto, l’occasione in cui – in ragione dell’aver l’indagine riguardato anche un consigliere comunale ed il vicepresidente del consiglio comunale di -OMISSIS- – è stata ritenuta dal Prefetto di Catanzaro l’opportunità di sottoporre ad approfondito monitoraggio l’Amministrazione comunale;
– peraltro, se anche la percezione del nesso di derivazione fosse erronea, non per questo verrebbe meno la rilevanza degli elementi sottolineati;
(b) – l’appello ribadisce che dagli atti presupposti allo scioglimento è emersa l’esistenza di un sistema basato sull’aggiudicazione degli appalti sempre alle stesse imprese attraverso una rotazione delle stesse, sul recupero dei ribassi offerti in gara mediante proroghe degli appalti e sulla mancanza di programmazione e controlli in corso d’opera (pag. 23);
– il TAR, a ben vedere, non ha accertato l’insussistenza di dette circostanze, bensì – dopo aver rilevato la natura assertiva degli atti circa l’esistenza di un meccanismo di assegnazione degli appalti di lavori e di servizi, tale da realizzare una sorta di “rotazione” sempre tra le stesse ditte – ha argomentato le ragioni per le quali, a suo dire, le circostanze non potevano assumere il significato indiziario e la rilevanza attribuiti ai fini della dimostrazione dei presupposti dello scioglimento;
– non può dunque ritenersi che sulla inconsistenza fattuale di tali elementi indiziari si fosse formato un giudicato, controvertendosi in appello, appunto, sul significato e sulla rilevanza che i rilievi dell’Amministrazione possono assumere ai fini della dimostrazione della sussistenza dei presupposti dello scioglimento;
(c) – la vicenda relativa all’affidamento ad una cooperativa di bene confiscato alla malavita, ancorché non specificamente esplicitata nell’appello, può ritenersi compresa, di seguito alla menzione suindicata sub (b), tra le circostanze “similari – di cui si dà conto nelle conclusioni della Commissione di indagine, e di riflesso, nella proposta del Prefetto e nella relazione ministeriale”, lamentandosi che il TAR ne abbia fornito una interpretazione incomprensibilmente riduttiva (pag. 23).
Ritenuto, pertanto, che i contestati errori di fatto consistono in apprezzamenti, come tali opinabili ma scaturenti dalla valutazione dell’organo giudicante, non della consistenza oggettiva bensì del significato delle risultanze processuali (desumibile anche attraverso la esplicitazione della portata concreta di richiami operati dall’appello agli atti del procedimento), come tali inidonei a costituire vizio revocatorio;
Ritenuto, inoltre, sotto il profilo della rilevanza decisiva degli elementi sottoposti a contestazione, che l’ordinanza cautelare, oltre ad aver puntualizzato il quadro normativo di riferimento, ha sottolineato, quali elementi indiziari che sarebbero stati sottovalutati dal TAR, anche altri elementi (compravendita di voti finalizzata all’elezione alla tornata elettorale del maggio 2015 in favore di soggetto poi eletto consigliere comunale nella lista del sindaco e nominato presidente dell’organo consiliare; posizione di un assessore, il cui fidanzato sarebbe interessato dall’operazione -OMISSIS-), non ulteriormente considerati nell’istanza di revoca;
Ritenuto che non è riscontrabile un errore di fatto revocatorio (c.d. abbaglio dei sensi) nemmeno nella condanna alle spese risultante dal dispositivo dell’ordinanza impugnata, in quanto riferita erroneamente alle spese del “doppio grado di giudizio”, posto che si tratta di errore materiale, essendo evidente dalla motivazione che la liquidazione si riferisce alle spese della “presente fase cautelare”;
Ritenuto, infine, che le spese della presente fase di giudizio debbano seguire la soccombenza ed essere liquidate come da dispositivo; P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) dichiara inammissibile l’istanza di revoca dell’ordinanza di questa Sezione n. -OMISSIS-.
Condanna gli istanti al pagamento della somma di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge, per le spese della presente fase del giudizio.
La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 2, del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare gli appellati odierni presentatori dell’istanza di revoca.