Lamezia, ingresso del rettore della chiesa di Santa Chiara
6 min di letturaUn momento importante per la Chiesa lametina
“Non noi, ma Gesù Cristo è la meta del nostro servizio. Se la gente che viene a noi non arriva, attraverso il nostro ministero, a Dio e si ferma a noi stessi, allora quella gente può ritenersi ingannata, confusa, imbrogliata: noi dobbiamo portare le persone al Signore e non invece portarle verso di noi, lasciando per giunta il Signore da parte, in un angolino.
È questa la grande sfida, perché ad essere venditori ambulanti di fumo non ci vuole niente; bisogna invece abbassarsi ed umiliarsi, non di nome, ma di fatto”. Così il vescovo, monsignor Serafino Parisi, nel concludere l’omelia della celebrazione eucaristica da lui presieduta in occasione dell’ingresso del rettore della chiesa di Santa Chiara, don Luca Gigliotti.
Partendo dal brano del Vangelo sulle nozze di Cana, il Vescovo ha evidenziato che “la presenza di Maria è una presenza di servizio. Il suo intervento è servito a far comprendere che la ‘Parola’ capace di dare la risposta a tutti i drammi dell’umanità è solo quella che Dio ha pronunciato nel Verbo, il Figlio suo, Gesù Cristo.
Qui – ha aggiunto – sta la grandezza di Maria. Non quella di prendere i meriti per sé ma di essere al servizio del Figlio, perché il Signore potesse realizzare l’opera di glorificazione”. Maria, quindi, “non prende le necessità degli altri per ingrandire sé stessa e darsi gloria e arie”, ma per la manifestazione della gloria del Figlio.
Monsignor Parisi ha poi fatto notare come Giovanni, a differenza degli altri evangelisti, nel raccontare il primo intervento di Gesù, non abbia parlato di miracolo ma di segno “perchè il segno – ha detto – rimanda ad altro”. In tale senso, “la parola grande che viene consegnata a noi attraverso questo simbolo del matrimonio è ‘l’unione’ che per noi costituisce la parte fondamentale di quel termine che usiamo spesso, che però dobbiamo rendere operativo concretamente, ed è la comunione, cioè una unione che sappia abbracciare tutti – e non soltanto alcuni, magari in un cerchio asfittico o magico – anzi in un dinamismo comunionale senza chiusure, senza esclusioni, senza isolazionismi, senza vittimismi”.
Comunione, quindi, come “unione di tante persone che sanno mettere insieme le loro specificità, le loro diversità (che è bene che ci siano, come è stato ricordato proprio nella seconda lettura di questa sera tratta dalla prima lettera ai Corinzi): ad ognuno è data una manifestazione speciale, particolare, dello spirito per il bene comune: e non per un singolo, o per due, tre, quattro, cinque singoli”, ma per tutti.
Al riguardo, il Vescovo ha incentrato l’attenzione sui carismi, “che sono tanti e sono manifestazioni dello Spirito. Il carisma – ha detto – è un dono per il servizio, non è un dono per andare a vincere i talent show, al fine di una esaltazione personale basata sull’esibizione della propria bravura accompagnata dalla caduta coreografica dei coriandoli della festa. Il carisma è certamente un dono che il Signore consegna, ma con una caratteristica che lo trasforma da principio di esaltazione personale a occasione, necessità, bisogno di servire l’altro.
Lo sta dicendo San Paolo ‘fratelli, ci sono diversi carismi, ma uno solo è lo spirito; vi sono diversi ministeri (e ministero vuol dire servizio), ma uno solo è il Signore; ci sono diverse attività, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti’. Ora, questo serve in modo particolare a noi che siamo chiamati a ridimensionare il nostro ego, curando l’ipertrofia dell’io che a volte – anche qui è il Vangelo che ce lo dice – si mostra come un lupo rapace rivestito di agnello. Questo accade quando si fa una recita, quando si pratica una dissimulazione: dietro quel buonismo di facciata si nasconde praticamente una realtà altra”.
Quindi, ha ricordato che “tutto quello che accade nella Chiesa è opera di Dio e noi – lo diceva San Luca – siamo servi inutili. Quindi, se tutto ciò che facciamo nella Chiesa non è opera di Dio, ma invece esalta i particolarismi, gli individualismi e gli isolazionismi settari, possiamo dire con San Paolo che Dio non c’è, Dio non c’entra niente.
È questa la misura che ci dà stasera il testo di Paolo che alla fine, dopo aver elencato alcuni doni come il linguaggio di sapienza, la conoscenza, la fede, il dono delle guarigioni, il potere di compiere miracoli, la profezia, gli spiriti, la varietà delle lingue, l’interpretazione delle lingue, dice: ma tutte queste cose sono le opere dell’unico e medesimo spirito. È Dio che opera, non noi”.
Di “gratitudine che è l’atto di accorgersi del bene e non di riconoscenza che lega troppo l’idea a qualcuno” ha, poi, parlato don Luca Gigliotti nel suo saluto finale durante il quale, interrotto dalla commozione, ha ringraziato il Vescovo, la sua famiglia, i suoi collaboratori, la comunità di Cortale: “In questo momento, in me – ha detto – ci sono tante emozioni, tanti sentimenti e negli anni ho imparato che tutto è prezioso.
Non voglio scartare nulla di quello che mi sta accadendo dentro perché sono sicuro che tutto, in qualche modo, porterà frutto. Tra tutte queste cose vorrei provare a raccogliere la gratitudine che non è una cosa scontata e banale. Il mio grazie possa raggiungere ognuno di voi. Questo grazie così grande, libero e gratuito posso dirlo solo in Dio e, dicendolo al Signore, Lui lo dirà al cuore di ciascuno di voi. Dio mi ha messo un sogno nel cuore ed è quel sogno che oggi mi ha portato a voi”.
“Sono convinto – ha concluso – che più che le parole all’inizio parleranno i giorni che verranno, i tanti volti, i cuori che saranno prossimi. Quindi, lasciamo parlare quelli perché ci darà tante cose da vivere e so che iniziare un’esperienza nuova è sempre un momento delicato. Allora, vorrei stare qui, in questo luogo come uno che si mette accanto e fare dei passi insieme. Non ho grandi pretese ma solo questo piccolo desiderio con chi vorrà passare attraverso questo luogo, vorrà fermarsi.
Vorrei che questa realtà possa continuare ad essere casa per chiunque vorrà restare e fermarsi. All’inizio sarà tutto da costruire. Vi chiedo: conosciamoci reciprocamente. Chi vuole offrire un servizio, un dono, me lo faccia conoscere. Avvicinatevi. Stringiamoci la mano. Diciamoci il nome. Cominciamo da queste piccole cose e per chi vorrà da domenica prossima tutte le domeniche alle ore 18 continuerà ad essere subito Eucarestia anche in questa chiesa. Poi, quello che accadrà Lui lo farà accadere anche attraverso di noi. Però, cominciamo da questi piccoli passetti e Dio davvero saprà far germogliare e fruttificare tante altre cose. Grazie davvero a tutti quanti voi”.
Ad apertura della funzione religiosa, il Vescovo ha parlato di “momento importante perché consegniamo questa chiesa al rettore don Luca. Chiesa che, come era nelle intenzioni di chi l’ha voluta e l’ha costruita, padre Carlo che dopo tanti anni è tornato qui e stasera è presente con noi, è stata consegnata alla Diocesi di Lamezia Terme.
Questa rettoria di Santa Chiara è della Chiesa lametina e sarà funzionale in ordine alla distribuzione dei servizi diocesani della pastorale giovanile, vocazionale e familiare e del progetto Policoro”. La volontà, quindi, è quella di “valorizzare pienamente questa struttura nella dinamica della Chiesa diocesana” e “questa chiesa – ha detto ancora – dobbiamo sentirla come nostra, come chiesa della Diocesi all’interno della quale vivere le esperienze parrocchiali, sacerdotali e diocesane, come il ritiro del clero”.
Un momento importante per la Chiesa lametina, interrotto anche da qualche applauso e dalla commozione di don Luca, che monsignor Parisi non ha esitato a definire “solenne, di ringraziamento al Signore”. Quindi, ha ringraziato i numerosi fedeli che hanno “voluto riempire questa chiesa come normalmente riempiono le altre chiese della Diocesi, nonché l’auditorium per la Scuola Biblica e i quattro centri zonali per la Scuola per i ministeri”.