Lamezia. Nel Museo diocesano è conservata la Madonna delle Grazie di Domenico Gagini
3 min di letturaL’opera scultorea del XV secolo è conservata in una delle sale del Museo diocesano di Lamezia Terme, al primo piano del palazzo del seminario vescovile
Domenico Gagini, o Gaggini, nasce nel XV secolo nel Canton Ticino e con molta probabilità appartiene alla famiglia di scultori particolarmente attiva a Genova negli anni a lui coevi. E’ citato nel Trattato di architettura del Filarete, tra gli artisti che lavorarono alla costruzione e decorazione di Sforzinda, definendolo discepolo di Pippo di ser Brunellescho.
Il Vasari lo citerà affiancandolo erroneamente al Laurana, ma non sono stati trovati documenti che attestino l’attività di Domenico col Brunelleschi prima del 1440.
Dopo una intensa attività in territorio ligure, che non abbandonò mai, puntò la sua attenzione alle regioni meridionali dell’attuale Italia, lavorando, tra le tante commissioni, al gruppo scultoreo delle Virtù a Castelnuovo: ivi la critica gli riconosce la manifattura della sola Temperanza.
Qualche anno più tardi sarà particolarmente attivo in Sicilia, realizzando l’Annunciazione esposta nel Museo Diocesano di Palermo (1468) e moltissimi altri capolavori. Vista la crescente richiesta di sue opere sul finire dalla sua carriera si farà affiancare dai figli Antonello e Giovanni.
A Domenico Gagini è attribuita la Madonna delle Grazie esposta al primo piano dell’ex palazzo del seminario vescovile di Lamezia Terme, Museo Diocesano dal 1998; anche se originariamente adornava il Convento di Santa Maria delle Grazie di Nicastro.
Si tratta di un’opera scultorea in marmo carrarese del XV secolo di 128 cm e uno scannello, o base, di 22 cm. Da un punto di vista compositivo possiamo dividere il manufatto in due parti:
- la base presenta frontalmente in altorilievo San Francesco nel momento in cui riceve le stimmate; mentre i laterali propongono da una parte un frate e dall’altra una monaca, entrambi oranti. Di difficile lettura è la scritta consunta che decorava lo scannello: una delle interpretazioni vuole che la statua sia affidata a fra Giovanni di Nicastro;
- la Madonna che regge il Bambino, detta Madonna delle Grazie, denominazione in seguito tramutata in Madonna piena di Grazia.
La figura è stante, leggermente ripiegata a destra dell’osservatore, in un bilanciamento sinuoso che va a sorreggere il Bambino, incorporato totalmente nel complesso della composizione. La Madonna è avvolta nel voluttuoso panneggio che lascia scoperto solo il Bambinello; tra le pieghe delle vesti è possibile ancora rinvenire quella che doveva essere la colorazione originaria dell’opera, oggi quasi totalmente sbiancata, ma un tempo ricca di cromie. Il Bambino regge il globo terrestre insieme alla Madre, mentre con l’altra mano afferra il velo, aggrappandosi e rompendo la staticità strutturale della composizione, conferendogli in questo modo vivacità strutturale.
La statua porta nel suo complesso il gusto dello stile gotico, soprattutto nella resa del viso adolescenziale e allungato della Vergine, i cui rimandi riconducono allo scultore Lorenzo Ghiberti.
Si tratta di un capolavoro poco conosciuto dell’hinterland lametino, una scultura che racchiude in sé, nella sua espressione malinconica, l’immensa dolcezza genitoriale e la dura consapevolezza dell’essere Madre di Dio e dell’intera umanità.
Felicia Villella