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Lamezia, una giornata per ricordare don Milani nel cinquantesimo della sua morte

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Cenacolo Filosofico in ricordo di don Milani. Tanzarella,Gaetano, D'Andrea

Due appuntamenti che hanno reso il ricordo di don Milani

LAMEZIA. Un’intera giornata, scandita da due appuntamenti, per ricordare la figura di don Lorenzo Milani, priore, scrittore, docente ed educatore fiorentino. Un’occasione questa per presentare, a cinquant’anni dalla morte di Milani, il libro “Lettera ai cappellani militari – Lettera ai giudici” (edito da Il pozzo di Giacobbe), edizione critica e postfazione curata da Sergio Tanzarella, ordinario di Storia della Chiesa per la facoltà teologica dell’Italia Meridionale di Napoli (sez. San Luigi), dove dirige l’Istituto di Storia del cristianesimo.

L’evento è stato organizzato dal Sistema Bibliotecario Lametino e dal Cenacolo Filosofico, ideato e diretto dal prof. Filippo D’Andrea ormai dal 1992, con l’adesione inoltre di varie associazioni e scuole del comprensorio lametino. In particolare la giornata di ieri, sabato 4 novembre, ha visto due incontri a lui dedicati: il primo momento alle ore 10:00 all’omonimo istituto comprensivo “Don Milani” a S. Teodoro, durante il quale il prof. Tanzarella ha incontrato gli insegnanti, i genitori e gli alunni delle scuole aderenti; con lui anche il già citato Filippo D’Andrea, filosofo e teologo, e Giacinto Gaetano, direttore del Sistema Bibliotecario Lametino.

Il secondo momento in memoria di don Milani è proseguito alle ore 18.00 al Caffè letterario nel Chiostro di San Domenico. Questa l’occasione in cui Sergio Tanzarella ha dialogato con i cittadini nell’ambito dell’ormai consueto appuntamento mensile del Cenacolo Filosofico, aperto alla partecipazione di tutti.

Tanzarella è stato definito da Filippo D’Andrea come il “più autorevole e competente studioso e biografo di don Lorenzo Milani. “Lettera ai cappellani militari – Lettera ai giudici” rappresentano delle pietre miliari dell’avvio del concetto di primato della coscienza e della virtù della disobbedienza”.

Il testo e le sensibili parole di Tanzarella riescono ben presto a catturare l’attenzione del folto pubblico presente in sala, per come con semplicità hanno indagato la parte forse più “sconosciuta” e intima di una figura ormai così inflazionata quale quella di don Milani. La cui immagine è legata all’esperienza didattica nella disagiata scuola di Barbiana, minuscola e sperduta frazione di montagna nel comune di Vicchio (Mugello), dove iniziò il primo tentativo di scuola a tempo pieno espressamente rivolto alle classi popolari e dove sperimentò il metodo della scrittura collettiva, e ad alcuni suoi scritti sui quali si sono innestate aspre polemiche che hanno coinvolto la Chiesa cattolica, numerosi intellettuali e diversi politici.

L’incontro al Cenacolo Filosofico diviene presto un modo per scoprire e ri-scoprire la persona di Lorenzo Milani, fatta di spiritualità, di fede, ma anche di tanta umanità con i suoi pregi e i suoi difetti. Duro con chi andava a Barbiana a perder tempo, mentre egli faceva scuola per permettere a quei bambini di recuperare ciò che loro non sapevano poiché svantaggiati, destinati a essere pastori.

Gli ideali della scuola di Barbiana erano infatti quelli di costituire un’istituzione inclusiva, democratica, con il fine non di selezionare quanto di far arrivare, attraverso un insegnamento attento e  personalizzato, tutti gli alunni a un livello minimo d’istruzione garantendo l’eguaglianza con la rimozione di quelle differenze che derivano da censo e condizione sociale. Tutto questo non senza ricevere obiezioni e critiche di sorta.

Si indaga quindi anche il Milani uomo, l’attualità del suo pensiero e della sua testimonianza religiosa e civile. E Tanzarella lo fa attraverso una serie di lettere, presenti nel testo, redatte dalla mano del  presbitero fiorentino. Lettere alla madre, alla sorella, vengono lette con estrema intensità durante la serata, fino alle epistole oggetto del testo presentato dallo studioso.

“La figura più abusata- ci dice Tanzarella- citata da coloro i quali hanno letto solamente qualcosa, talvolta qualche libro neanche scritto da lui e frasi che non ha neanche mai pronunciato. Ma Milani non è una figura che può essere circoscritta ad una citanzioncella soprattutto da parte di chi non ha letto i suoi scritti”.

Rappresenta una novità probabilmente il fatto che questa volta il testo presenti le lettere senza profane rivisitazioni o addirittura tagli arbitrari e riscrittura di frasi che ne stravolgono l’effettiva portata. Per la prima volta le due lettere di Milani “Lettera ai cappellani militari – Lettera ai giudici“, vero manifesto contro l’obbedienza cieca, sono infatti  accompagnate da note che ne chiariscono il senso e le relazioni con la sua opera.

“Questa volta è stato fatto un restauro – continua lo studioso – , mantenendo quello che Milani aveva scritto, anche perchè le lettere sono state scritte in situazioni limite, a causa della condizione in cui si trovata oltre che per la malattia. Spesso sono scritte su pezzi di carta di fortuna e sono scritte nelle condizioni in cui si trovava a Barbiana”.

Per quanto riguarda il testo, è il 1965 quando i cappellani militari della Toscana emanano un comunicato stampa accusando i giovani italiani obiettori di coscienza di essere dei vili. In loro difesa interviene don Milani con una lettera aperta agli stessi cappellani, una lettera di altissimo valore morale e civile nella quale chiede rispetto per chi accetta il carcere per l’ideale della nonviolenza.

Per questa sua lettera Milani viene denunciato da un gruppo di ex combattenti e messo sotto processo. Impossibilitato a parteciparvi per l’aggravamento del tumore che lo porterà, di lì a poco, alla morte, Milani scriverà una memoria difensiva sotto forma di lettera ai giudici. In essa la storia civile dell’Italia unita viene riletta senza retorica celebrativa come storia feroce di guerre, di spietato colonialismo, di sopraffazione di poveri.

Lo scopo era quello di poter avere un libro che potesse aiutare il lettore ad orientarsi in un testo apparentemente semplice, ma che è il risultato di un lungo lavoro che Milani ha portato avanti in quella estate del ’65.

Durante la serata ci si sofferma su una parola in particolare “nonviolenza”, parola che don Lorenzo Milani scrive intenzionalmente per intero. “Ha un significato non solo dal punto di vista personale ma anche storico, perchè Milani non la mette insieme per pura combinazione, ma come risultato degli studi che aveva fatto su Gandhi, dei contatti con il Movimento Internazionale della Riconciliazione e con Capitini”.

Tanzarella si avvia alla conclusione non prima di averci parlato però della concezione d’amore di don Milani. “Un uomo che condannava l’amore universale in quanto, non costando nulla, tutti potevano dichiararlo. Siamo destinati, secondo Milani, ad amare poche decine di persone, ma queste dobbiamo amarle seriamente. L’amore è responsabilità delle persone che ci sono affidate”.

Valentina Dattilo

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