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Lamezia. Standing ovation per “La Stanza di Agnese” di Sara Bevilacqua al Teatro Grandinetti

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Lamezia. Standing ovation per “La Stanza di Agnese” di Sara Bevilacqua al Teatro Grandinetti

In scena la vita privata di Paolo Borsellino narrata dalla moglie Agnese, interpretata dall’attrice Sara Bevilacqua. Tra le autorità civili e militari anche il presidente del Tribunale di Palermo Morosini

“Il teatro è un mezzo per veicolare messaggi importanti come la memoria”.Così Sabrina Pugliese ha aperto “La stanza di Agnese”, la stanza, l’anima, di Agnese Piraino Leto, moglie di Paolo Borsellino.A trentadue anni dalla strage di Via d’Amelio, la Compagnia teatrale I Vacantusi, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Magistrati Distretto di Catanzaro, hanno messo sulla scena del Teatro Grandinetti di Lamezia Terme il monologo che Sara Bevilacqua ha scritto e interpretato per ricordare, attraverso le parole d’amore della moglie, il giudice, l’uomo, Paolo Borsellino. I numerosi spettatori presenti in sala hanno seguito con trasporto ed emozione il ricordo d’amore di Agnese e hanno accompagnato con forti applausi la fine dello spettacolo, con tanto di standing ovation. Presenti al teatro le più alte autorità civili e militari del Distretto di Catanzaro e del Presidente del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini. Le parole con le quali il dott. Giovanni Strangis, Presidente ANM di Catanzaro, ha introdotto la serata valgono senz’altro a sintetizzarne il significato che è quello dell’importanza della legalità in ogni ambito in cui viviamo e la necessità di “lottare per la dignità della nostra vita civile”.

Su di un palcoscenico scuro, al centro c’è la stanza di Agnese tappezzata di un rosso verticale, che spezza la scena, scena evocativa del sangue versato per la verità, prezzo che si paga per squarciare le tenebre dell’ingiustizia, della sopraffazione, dell’ignoranza. Sotto i riflettori, seduta nella sua casa a ripercorrere i momenti della vita della sua famiglia, Agnese Borsellino ha solo apparentemente dialogato con sé stessa. Le sue parole erano, infatti, le frasi di un suo continuo, intimo, dialogo d’amore con il marito, con cui ci ha permesso di scoprire quell’umanità che caratterizzava la persona di Paolo Borsellino e che ne ingigantisce ancor di più la statura pubblica del Magistrato, che ha fatto la storia del nostro Paese.

La verità padroneggia la rappresentazione teatrale. Nel buio che sulla scena la circonda, la stanza di Agnese è l’unico spazio illuminato. La luce che ci si riflette è quella dell’amore della famiglia del giudice Paolo, di un amore talmente e naturalmente saldo e profondo da avere consentito al magistrato di poter essere un uomo libero. Perché libero è l’uomo che, pur osteggiato, boicottato, tradito e anche lasciato solo, può comunque sempre contare sull’affetto e la solidarietà dei propri cari. La certezza che ha, dunque, un uomo, di non avere nemici in casa è in parte la più naturale ragione per non temere i nemici fuori. Il racconto di Agnese è stato quello della normalità dell’uomo Paolo Borsellino, una normalità che però era la sua aspirazione, e non la sua realtà. Il Giudice era uomo intelligente, di cultura, di spirito, affettuoso, simpatico a cui piaceva “babbiare”, e al suo “babbio” sdrammatizzante faceva eco solo il controcanto fintamente seccato, ma sempre compiaciuto della moglie. Doti umane, queste, che lo avevano portato a credere nella forza inesorabile dell’adempimento del dovere, pur nella tragica consapevolezza della portata rivoluzionaria della sua azione di magistrato, che proprio per questa ragione, facendo la storia del Paese, con la Storia avrebbe dovuto, purtroppo, inesorabilmente, fare i conti.

La bravura di Sara Bevilacqua è stata proprio quella di aver raccontato una vita che avrebbe dovuto essere normale – perché normale è essere dalla parte dello Stato – attraverso una narrazione della trama degli eventi vista con il senno del poi e, quindi, con l’amara e disincantata consapevolezza che la catena di lutti si era dipanata in modo inevitabile. Ricorre nella rappresentazione, lo squillo del telefono che, come una sorta di campana, rintocca ad ogni uomo, ad ogni servitore dello Stato ucciso dalla ferocia inaudita della mafia. Lo squillo del telefono che suona a morto, prima sporadico, gradatamente diventa quasi abitudine, tanto da finire per essere un evento atteso in casa Borsellino.

Di lato alla stanza di Agnese, si trovano sulla scena numerose scarpe ammassate, le cui paia, Sara Bevilacqua, abbraccia dopo ogni squillo del telefono, per ricordare che la morte degli uomini non porta via con sé anche i passi che proprio quegli uomini hanno mosso su questa terra per portare avanti le loro idee di giustizia e legalità. La resa artistica in questo intreccio, tra il racconto di una vita uguale a quella di un uomo comune ed una vita che è diventata un pezzo della storia italiana, è risultata artisticamente eccellente. Questo, perché, di ciò che ha detto e di come lo ha detto Sara Bevilacqua, quel che rimane nel cuore dello spettatore non è soltanto la appropriata ricostruzione delle tragiche cronache di quegli anni e di quella della morte del Giudice, ma soprattutto la ricostruzione di un mondo familiare ormai perduto. Il monologo della Bevilacqua si conclude con il grido di dolore di Agnese, la cui nostalgia per il marito non può trovare alcuna forma di compensazione, perché la figura dell’eroe non è capace di prendere il posto nel suo cuore di quello dell’uomo vivo che lei continua ad amare. L’inutilità del male, e quindi l’inaccettabilità della morte per mani assassine, assume ne “La stanza di Agnese” dimensioni universali e motivo di fratellanza per i riferimenti agli omicidi dei giovani, uomini e donne delle scorte, saltati in aria insieme ai magistrati cui facevano coraggiosamente da scudo, ai grandi investigatori eliminati in modo efferato da Cosa Nostra. Un invito a non dimenticare. Come ripete Agnese nel suo monologo “Io non dimentico, non dimentico nulla”.

La drammaturgia è di Osvaldo Capraro, disegno luci Paolo Mongelli e Marco Oliani, videomaking Mimmo Greco, organizzazione Daniele Guarini, illustrazione e grafica Studio Clessidra con il supporto di TRAC Centro di residenza teatrale pugliese. L’autrice si è avvalsa della collaborazione della famiglia Borsellino. Lo spettacolo è inserito nel progetto “Calabria Teatro” seconda edizione, cofinanziamento Bando Distribuzione Teatrale triennio 2022/2024 – PSC Calabria e Legge regionale n.19/2017.

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