Le mani nelle terra, l’arte che resiste a Seminara. Gennarino.
5 min di letturaA fine agosto siamo tornati a Seminara, paese calabrese d’eccellenza artigianale. Sin da subito ho sentito l’urgenza di raccontare l’incontro con il maestro Gennarino, ma tornata a Milano, sentivo una mancanza. Mi sono procurata un libro sulle ceramiche per colmare questa assenza, ma nulla. Finalmente stamattina ho rivisto i video che avevo girato e ho ritrovato lo stordimento da cui iniziare.
Non scrivo di ceramiche in questo articolo, scrivo di un incontro straordinario con l’ arte della ceramica e le sue mani.
Grazie al professore Carmelo Cambareri, siamo arrivati ancora una volta a Seminara, ma questa volta è diverso, questa volta veniamo portati a toccarne un’anima nascosta in una bottega.
Arriviamo che Gennarino sta riaprendo la bottega, ha appena accompagnato la mamma al piccolo cimitero di Seminara dove da 4 anni riposa il papà.
Carmelo gli fa cenno e lui ci viene incontro, occhi lucidi ma sguardo fiero, si presenta in modo schietto e deciso e ci fa entrare nella bottega.
Resto per un momento stordita.
Siamo in una galleria, questo è evidente e la distribuzione delle opere è densa, stordisce. Gennarino non ha filtri né fronzoli e parla di pezzi unici, personaggi, musei, quotazioni ma le parole mi arrivano ad ondate, sono completamente intontita da materia, colori, bocche aperte, occhi sgranati puntati addosso, volti che arrivano da lontanissimo.
Entrano dei clienti e salutano Gennarino per qualche secondo, la mamma fa capolino dal retrobottega e si occupa dei nuovi arrivati.
Questi attimi di pausa mi servono per riprendermi dal vagheggio e inizio a fare spazio lucido alle parole di Gennarino che passando da un pezzo all’altro, da una storia all’altra ci mostra maschere apotropaiche, volti grotteschi, anfore, boccali, brocche con becco, borracce a forma di pesce, ricci, pigne…oggetti che nei nomi originali evocano un patrimonio culturale inestimabile: babbaluti, ancelle, cannati, vozze, gabba cumpari, porroni.
Quando accenno alla potenza ipnotica che esercitano le maschere appese, decide di portarci nel laboratorio adiacente dove lui, il fratello e i nipoti perpetuano l’arte antica di dare volti grotteschi alle umane emozioni, come nonni e padri insegnarono.
Questo è un microcosmo. Botteghe di famiglia, ricavate in garage affacciati sulla statale. Non ci sono funnel commerciali di espositori e luci che valorizzano i colori e realizzano il lead.
Qui c’è autenticità.
Ci sono le forme, i colori, l’odore dell’argilla e il pieno. C’è la Magna Grecia, il Sacro, il Profano, l’Ironia, l’Esotico e la gens calabrese.
Gennarino, è Gennarino Condurso.
Capofamiglia di una tribù di nipoti e fratelli con le mani nella terra, è figlio d’arte, è figlio commosso quando ricorda il papà Paolo Condurso, mancato pochi anni fa.
Un padre innovatore dei canoni di un’arte che qui a Seminara faceva scuola, apprezzato da Picasso e premiato in tutto il mondo. Una linfa creativa di cui si è nutrito il genio creatore di Gennarino che in una manciata di secondi modella maschere che arrivano dal teatro greco, da atavici culti religiosi, da pagani riti scaccia mali.
Nessuna delle ceramiche che ho visto fino ad oggi, arriva da così lontano e dirompe così profondamente. L’argilla si anima e le maschere appese sulle pareti con semplici ganci di ferro filato, iniziano a parlare tutte le lingue del mondo. Arrivano da un unicum primordiale, raccontano miti ma anche gesta quotidiane, riti pagani confluiti in processioni sacre, profonde nature umane: rabbia, paura, potere, grandezza, invidia, gelosia,generosità.
Gennarino è un fiume di aneddoti e generose spiegazioni su storia e arte della ceramica. Parla del papà, del nonno, del paese, dei personaggi che l’hanno distinto, del borgo dei pignatari, di un gruppo di sognatori sempre sporchi di terra e carbone che nelle fornaci alla periferia del piccolo borgo, creavano, dall’alba al tramonto e nelle forme ci mettevano dentro ironia, amore, rabbia e riscatto.
Tradizione e innovazione nelle sue creazioni si fondono e per questo è chiamato dal Giappone all’ America a mostrare la sua tensione artistica dalle radici lontane.
Si sfoga sull’argilla, quella ferrosa delle colline intorno a Seminara, quella ricca di minerali essenziali e invidiata da tutti gli altri borghi di pignatari, quella che venivano da fuori a comprarla. Quella che ormai non la produce più nessuno. Quella che nessuno vuol fare fatica ma che distinguerebbe nuovamente Seminara oltre a creare occupazione legale a chilometro zero.
E mentre dal garage-bottega delle maschere ritorniamo nell’adiacente bottega espositiva, penso che, anche se non fosse stato un figlio d’arte, non avrebbe potuto sfuggire al destino dell’artista di cui possiede ego, talento, struggimento, profondità, solitudine, cinismo, critica e spleen.
Portarsi a casa un pezzo del suo lavoro è poca cosa rispetto al grande dono che ci ha fatto in quest’ora di conversazione.
Le botteghe intorno spariscono, resta un vortice sindrome di Stendhal dentro la quale salutiamo, saliamo in macchina e torniamo a Lamezia, dimenticandoci completamente di quello che volevamo comprare.
Angelo Maggio (l’etnofotografo dei santi e del non finito calabrese ndr) mi ha prestato il volume edito da Esperide “Seminara. Dall’arte dei pignatari alla ceramica d’arte”. E a questo punto dell’articolo potrei aggiungere un pò di date e nozioni storiche sull’arte della ceramica a Seminara che si distingue per l’uso antico della tecnica bizantina dell’ingobbiatura e del graffito. Nozioni che la connotano con Vietri, Caltagirone, Santo Stefano di Camastra e Grottaglie a luogo sacro dell’arte della ceramica in Italia. Potrei suggestionare i lettori più esigenti dicendo che già nel ‘700 Re Carlo di Borbone riconosce la validità del sistema delle botteghe come attività redditizia, istituendo il Catasto Onciario di Seminara.
Cenni storici che riporterei senza aggiungere nulla, per cui evito di riportare e piuttosto consiglio un pellegrinaggio in queste botteghe che resistono ai tempi e soprattutto a questa di Gennarino che, in un batter d’occhio, diventa museo.
In questo articolo ho avuto la pretesa, da non addetta ai lavori, di raccontare un’esperienza personale unica in un luogo lontano dai tour turistici e autentico per adesione alla materia, tensione creativa nell’atavica competizione e talento culturale.
C’è indubbiamente dell’altro a Seminara, andate e meravigliate i sensi anche voi.