Lingue antiche da far paura, macché!
4 min di letturaLe lingue antiche sono un pezzo da 90, per quanto questo numero nella smorfia napoletana chiami all’appello proprio la paura
Mens “Xanax” in corpore sano,
pardon…
Mens sana in corpore sano.
Comunque, messa da parte un po’ d’ironia, proviamo a capire ‹‹un lungo filone fobico alla luce delle radici classiche››, ricordando, per contrasto, che il coraggio è fatto di paura (Oriana Fallaci) o ancora che il coraggio è paura che ha avuto fortuna (Roberto Gervaso). Quindi, non tutto il male vien per nuocere! Cominciamo…
L’avversione alla felicità, chiamata anche cherofobia (dal greco χαίρω, chairo “rallegrarsi” e φοβία, phobia “paura”) o paura della felicità, rappresenta un atteggiamento, per cui gli individui evitano deliberatamente le esperienze che evocano emozioni positive o di gioia.
L’agorafobia (dal greco αγορά , agorà: “piazza” e φοβία, phobìa: “paura”, etimologicamente “paura della piazza”) è il disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi all’aperto, temendo di non riuscire a controllare la situazione.
La glossofobia è il timore di parlare in pubblico (dal greco γλῶσσα, glōssa, “lingua”, e φόβος, phobos, “paura o fobia”).
Con il termine aerofobia o il più desueto aviofobia viene definita la paura di volare in aereo (fear of flying) da aero- (dal latino āēr cioè “aria”) e da -fobia (dal greco -ϕοβία, phobìa, derivazione di ϕοβέομαι, phobèomai, ossia “temere”).
La claustrofobia (dal latino claustrum, “luogo chiuso” e dal greco φόβος, phobos, “fobia”) è la paura di luoghi chiusi e ristretti come camerini, ascensori, sotterranei, metropolitane e di tutti i luoghi angusti in cui il soggetto si ritiene accerchiato e privo di libertà spaziale attorno a sé.
L’acrofobia (dal greco ἄκρον, ákron, “cima, sommità” e φόβος, phóbos, “paura”) è la paura delle altezze e dei luoghi elevati.
L’aracnofobia o aracnefobia (dal greco Ἀράχνη, aracne, “ragno”, e Φόβος, phobos, “paura”) è un’irrazionale paura verso i ragni.
Non solo i ragni possono scatenare del panico ma anche i serpenti. L’ofidiofobia (dal greco ὄφις, ophis “serpente”e φοβία, phobìa “paura”) è la paura morbosa degli ofidi, appunto!
L’emofobia è una nevrosi che porta chi ne è soggetto a provare una repulsione eccessiva per il sangue (dal greco αἶμα, αἴματος, aima, “sangue” e φοβία, phobìa “paura”).
La ceraunofobia o brontofobia (dal greco antico κεραυνός, cheraunòs, “fulmine” e, φόβος, phobos, “paura”) è la fobia specifica dei tuoni e fulmini.
La tanatofobia (dal greco thanatos, tanatos che significa “morte”, e φόβος, phobos che significa “paura”) indica una morbosa paura della morte e dell’idea della propria mortalità, sentita anche imminente.
La misofobia (dal greco μύσος, miusos, “sporco” e, φόβος, phobos, “paura”) è il termine utilizzato per descrivere una paura patologica del contatto con lo sporco per evitare qualsiasi tipo di contaminazione.
La filofobia (dal greco φιλος, filos, “amore”, e φοβία, phobìa, “fobia”) è definita come la paura persistente, ingiustificata ed anormale di innamorarsi.
La cinofobia (da greco κύων, chiùon, “cane”, e φόβος, phobos, “fobia”) è un’anormale paura di essere morsi dai cani.
L’acluofobia (dal greco ἀχλύς, achlýs, “oscurità”, e φόβος, phobos, “fobia”) o nictofobia (raro è, invece, “scotofobia”) è la forte paura dell’oscurità e del buio.
L’emetofobia è il timore patologico del vomito (dal greco ἔμεσις, émesis “vomito” e φοβία, phobìa, “fobia”)).
La coulrofobia è definita come una paura persistente, anormale e ingiustificata dei pagliacci (dal greco composto da κωλοβαθριστής, colobatristès, cioè “colui che cammina sui trampoli” e da φόβος, phobos, cioè “spavento”).
Forse, alla luce di tutto ciò, un modo per distrarre le tensioni è la concentrazione sulle proprie passioni; è risaputo di individualità straordinarie l’identità tra le forme dell’avere e quelle dell’essere nella costituzione della loro personalità: geni malati o geni perché malati, dicono certuni, infatti! Tuttavia, le attitudini, in molti di loro, avrebbero limato il chiodo fisso di tanto distress: penso ad un Ampère, l’uomo dei circuiti elettrici, ad esempio! Scambiava, per annichilimento del proprio io, il cancellino della lavagna come fazzoletto per soffiarsi il naso, o la porta di una carrozza come tavola in ardesia per riempire le sue formule matematiche. Pensate che, quando il calesse si muoveva, lui lo inseguiva a piedi, deciso testardamente a portare a termine i suoi calcoli: assurdo, potreste dire, sicuramente! Che dire, poi, di Newton: con i calcagni fuori dalle scarpe, le calze arrotolate, i capelli in disordine e con un’aria sempre svagata. In pratica, uno svampito patentato! Forse, ma non c’era tempo per starsene in tensione. Anche Alexander Pope stornava da sé il male dell’animo e pare lo facesse liricamente, come tramanda un noto distico: Natura e le sue leggi eran celate in fondo / Fiat! Disse il Signore, e fu luce sul mondo.
Insomma, l’occupazione era così totalizzante da resettare quelle minacce psicologiche che in talaltri, malgrado esperienze consimili, erano sentite per converso in agguato.
Io credo che i Classici aiutino a superare le difficoltà (c’è chi ha steso addirittura una lista di opere letterarie, con relativa spiegazione, utili ed efficaci per superare forme depressive attraverso le loro storie): del resto, diceva Montesquieu che ‹‹non ho mai avuto un dolore che un’ora di lettura non abbia dissipato››. Una leggenda vuole che Averroè, incessantemente impegnato nella lettura, si sia allontanato dai libri soltanto in due occasioni (in tutta la sua vita): nel giorno del funerale del padre e nel giorno del proprio matrimonio, giusto per riderci su!
Una latinite o grecite acuta è piuttosto innocua, mi sa che avrebbe detto!
Prof. Francesco Polopoli