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Lo sdegno elegante di Raffaele Gaetano – Le querce sono in fiore

7 min di lettura

Le colline sono in fiore – Sanremo 1965 Mogol- Donida

Sul morire di dolore in un luogo che morta gora è, Raffaele Gaetano fa antologia di scritti, raccogliendo chi visitò il Lametino rimanendone illeso.

Sceglie la forma, Raffaele, un quadrato, sceglie la consistenza, carta pregiata e sceglie fotografie d’epoca curate. Vorrebbe scegliere tutto in una sua ricerca continua verso un estetismo raffinato e pregevole. Pregnante, direbbe lui.

Eppure il contenuto sfugge alla sua pur sostanziale introduzione  e scappa via, nella realtà effettuale di un luogo che lui stesso con sublime  dire dipinge “morta gora”.

Rimane lo sdegno e sullo sdegno di moltissimi scrittori per come e per cosa in questo luogo cattivi amministratori, truffatori e disonesti si siano allenati governando a loro volta popolazioni brutte sporche e cattive, senza spirito di corpo, di comunità, su questo sdegno si regge il sublime ed il pittoresco di prati in fiori e di mari azzurri orrendamente avvelenati

La fascinazione di Raffaele Gaetano e le rovine del sublime

Da Goethe a noi

Le querce sono in fiore. Memorie di viaggiatori nel Lametino (Koinè Editrice)

Ultimo libro  di Raffaele Gaetano  dopo  “La Calabria nel Viaggio Pittoresco del Saint-Non” (Koinè Editrice) che era, in una edizione in 999 esemplari numerati e firmati, la traduzione del “Viaggio Pittoresco” dell’abate di Saint-Non in Calabria con  35 vedute  acquerellate a mano.

Dal Lametino “L’opera conclude un lungo itinerario di ricerca che libro dopo libro ha visto impegnato l’autore in un appassionante vis-à-vis con il tema del viaggio in Calabria tra sublime e pittoresco. Composto per accumulazioni, per successive stratificazioni durante quasi dieci anni, lo scritto affronta per la prima volta in maniera sistematica l’ingente mole di diari, resoconti, memorie e lettere  fra il  ’700 e ’900” che  nobili, borghesi, scienziati, ecclesiastici, artisti, militari lasciarono del loro passaggio.”

Alla fine degli anni ottanta I Parchi Letterari in Italia e in Calabria   si ispirarono  ai racconti dei numerosi viaggiatori stranieri ed italiani che, dal Settecento, si spinsero in Calabria.

A rappresentare Il Grand Tour, così chiamato, fu scelto Norman Douglas, autore di Old Calabria,  e via via i più antichi visitatori presenti in questa libro.

“J. W. Goethe aveva  scritto: «Molti viaggiatori venivano in Italia solo per vedere delle rovine;  Roma, la capitale del mondo devastata dai barbari, era piena di rovine.”

Da Terremoto in terremoto quel che affascina è  il sublime, il sublime delle rovine.

Al di là e sotto la soglia… come sia possibile la sussistenza in un luogo rovinoso e rovinante!

Una terra sorprendente, diversa. Overture.

Leggo  e non sento solo il profumo del fiore, malgrado la veste elegante e la cura con cui hai trasposto brani e illustrazioni, io ne sento l’indignazione. La percepisco, in una rarefazione che invece di astrarmi mi addolora.

Le Querce sono in fiore. Una Calabria terribile, oscena, quasi, nel suo essere troppo di tutto. Impossibile da educare, da sanare. Come se un male incurabile la attanagliasse, malgrado la bellezza. Il misticismo, il sacro, il diluvio di sensazioni. Questo io leggo da te, ora dialogo con te, Raffaele.
Loro, i viaggiatori, lo chiamano  pittoresco, io lo chiamo  sconcerto.

Una Calabria che stupisce, che attrae per il selvaggio e misterioso presente nella sua scorza.

Il gioco delle estetiche che già assaporavo  nella romantica lady inglese, tratteggiata da Enrico Montesano,  scrive per noi il pittoresco che siamo. “situazioni tra spaesamento e vertigine” Molto pittoresco!

“ In quest’impalpabile, tenue déborde, in questo rifiuto di una natura addomestica” e debordiamo pure…

Come se tu avessi in mano una lente d’ingrandimento e con questa  allargassi  gli scritti restringendoli sul territorio natio, ed ecco  il borgo appare.

Terribilis locus est iste? Anche ora, anche ora. Sorridendo scrivo di vascelli e postali “un’esperienza di confine tra etica e naufragio della ragione.”  Un luogo periferia della periferia, che, già dopo Napoli, Africa è, Un luogo isolato nello spazio angusto di una geografia mentale fanatica e supponente, ora come allora, governata da pochissimi feudatari, ora come allora.

Dalla fine del settecento all’ottocento romantico ed ossianico i viaggiatori descriveranno prati  verdi e colline in fiore, una natura a volte madre a volte matrigna, mare azzurro e tempeste, malattie e tuguri, nello sciupio di esistenze lasciate nell’incuria di chi avrebbe dovuto averne cura. Senza cura.  Incurato e incurabile…  trascinerà la malaria fino ai nostri giorni.

Un sud mancante, senza strade se non l’antica  Via Popilia dei Romani, tratturi e viottoli poco sicuri. Giustificato dunque fare testamento prima di partire per il sud, o per Napoli

De Saint-Non  a tutti gli altri… scorrono.

Il reverendo Brian Hill  nel 1792 “Desidererei che la gente fosse meno curiosa, giacché indugiano a guardarci dietro una finestra che comunica con la casa. Abbiamo scoperto un posto vicino alla cappella dove c’è della calce e lì abbiamo acceso il fuoco per preparare il cibo. Ghiaccio all’alba. Freddo. Temperatura 5 gradi. Le querce sono in fiore.”

Giuseppe Maria Galanti descrive il modo in cui “La moneta è scarsa. L’interesse del mutuo è dell’8%, e la circostanza della miseria è tale che quest’interessi per mancanza di mezzi da soddisfarli si accumulano sugli anni successivi, per cui producono lo sterminio di molte famiglie.”

Armido Cario  nel suo libro “La Calabria del Settecento” scritto con Armando Orlando, riporta la analisi lucida del Galanti, che se da un lato incrociava la “coltura di spirito” di alcune famiglie a Catanzaro, Monteleone, Tropea, Reggio e Maida, dall’altro evidenziava lo stato di noncuranza di quelle stesse famiglie e degli amministratori verso il territorio abitato e i suoi abitanti («I Calabresi sono vivi ed elastici, e sono divenuti facinorosi per essere mal governati»).

Ripeto con Armido  il concetto di abitare un territorio e di mettere un abito ad un territorio, perché credo che sia lo snodo per comprendere come sia “l’abito” importante per una dignità umana. Un abito lasciato sguarnito in questo sud, sia dalle famiglie colte che dalle famiglie ricche, che poi i due aggettivi viaggiavano insieme, un abito dimesso ed elemosinante il tozzo di pane, le briciole, affinché il popolo fosse sempre facilmente ricattabile. Elemosinante.

Il Galanti porterà rendiconto alla corte del re di Napoli e nessuno leggerà…

Un feudalesimo mai finito. Con balzelli e demani, con proprietà della Curia Vescovile, con servitù mai eliminate.

Fra pregiudizio e analisi seria i racconti sono lo specchio di un non finito che da sempre è la dannazione di vivere qui, un incedere nelle paludi di un feticismo arcaico e di  una viltà nata dalla costrizione e dalla necessità.

Lo scorrere di racconti su racconti acuisce lo sbalanco, la vertigine, il senso doloroso di vivere nel vuoto precipitare e nella perfida voglia di imbrogliare qualsiasi forestiero, oppure di blandirlo perché potrebbe  esser utile.

Nella noia e nel disprezzo verso ciò che appartiene a tutti, le menti più eccelse declinano il latinorum, era questa l’impressione di Giorgio Bocca, nel suo Inferno.
“Alla Grande” era la scritta sui muri di Capizzaglie,  come ora,   nel nostro inferno, solo nel ricordo bellissimo, malgrado la palude da bonificare,  un mare  avvelenato e una terra sporcata dai rifiuti di mezza Europa.

Unica locanda sembra essere Il Fondaco del Fico ed unico luogo più o meno colto era Maida… più o meno, così da Didier,  Dumas e gli altri

L’ideale stessa della sporcizia.

Lenormant intanto fa  un riepilogo  che non è più un diario ma una risalita storica fino agli Enotri.

Una risalita lunga.  Lenormant se ne accorge  e scrive “Temo di aver abusato della pazienza del lettore e di averlo stancato. Tuttavia, la ricerca alla quale ci siamo dedicati, ci ha dato l’occasione di passare in rassegna qualche fatto storico non privo d’interesse.”

E ritorniamo al 1940, dopo la bonifica dalla malaria

La bonifica e nuovi paesi. San Pietro a Maida Scalo.  Imposti dall’alto e vuoti per molto tempo. Disabitati. Non riconosciuti.

Che il silenzio sia sublime solo nella disperazione di un dolore muto…

E Giuliano Santoro aggiunge “Lamezia è un posto stranissimo, nato dall’unificazione dei paesi di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia. È uno dei luoghi topici dell’immaginario del disastro calabrese.” Su due piedi. Camminando per un mese attraverso la Calabria

Termini così questa raccolta di scritti, una sistemazione di autori che altrimenti sarebbero dispersi, nella perdita continua di conoscenze.

Se ti eri riproposto altro non so, io vi ho letto questo silenzio e lo stesso difficile incedere nei sentieri ancora ostici e poco praticabili di una Calabria straniera ai suoi stessi abitanti, quella amnesia dei luoghi che tanto ci priva di occhi per vedere.

Leggo con mestizia, con grande compassione anche verso me stessa,  una appartenenza ad un luogo così difficile, nella consapevolezza  che anche queste mie stringate parole possano essere derise da lettori acculturati e felicemente non dissimili dai loro progenitori qui ben rappresentati e descritti.

Ci  salva solo la stima che si ha  per pochissimi, e solo  per quelle eccezioni che si intravedono in ogni epoca storica ed in ogni luogo e che danno il respiro per poter continuare ad aver voglia di scrivere nelle macerie e sulle macerie che si perpetuano.

Nel viaggio da Goethe a noi sulle rovine.

Le querce sono in fiore, un profumo che veleno è.

Ippolita Luzzo

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