Lost in… Orange is the new black: la serie che ha lanciato il binge-watching
5 min di letturaPer il nuovo appuntamento di “Lost in…” proponiamo la recensione di Orange is the new black, una serie tv statunitense piuttosto sovversiva uscita nel 2013 e conclusasi nel 2019.
Ideata da Jenji Kohan e prodotta da Lionsgate Television, Orange is the new black è ispirata alla ex detenuta Piper Kerman e al suo libro Orange is the new black. My year in a women’s prison.
La protagonista di questa serie è Piper Chapman, una donna condannata a scontare quindici mesi nel carcere femminile federale a Litchfield, dopo avere trasportato illecitamente, dieci anni prima, una valigia piena di denaro per conto di Alex Vause, una narcotrafficante internazionale, al tempo sua amante. Le due si incontrano nuovamente in carcere e Piper, nonostante un evidente risentimento iniziale, si riavvicina alla sua ex.
Piper ed Alex però non sono le uniche protagonista della serie. Orange is the new black infatti presenta un altissimo numero di personaggi, tra guardie carcerarie, direttori, recluse e familiari di quest’ultime.
La serie, di episodio in episodio, ci mostra la quotidianità delle detenute. Dopo i momenti esilaranti e gli aneddoti goliardici, dopo gli amori e le scene passionali delle prime stagioni, Orange is the new black assume sempre di più un tono riflessivo e serio, in una specie di regressione dal tono sempre più realistico, ponendosi come scopo finale quello della denuncia.
Con crudo realismo del resto vengono mostrate e descritte anche tematiche piuttosto delicate. Ogni tabù viene smascherato e mostrato senza filtri.
Focale è il tema dei diritti civili, nonché quello dell’orientamento sessuale con la presenza di personaggi omosessuali, bisessuali e persino transgender come nel caso della detenuta Sophia Burset.
Non mancano inoltre temi come la violenza sessuale, l’aborto, le malattie mentali, la corruzione, l’immigrazione, l’indifferenza totale nei confronti di alcune realtà etniche e di determinate classi sociali, nonché l’impossibilità di reinsediamento nella società una volta uscite dal carcere.
La denuncia più critica è rivolta al sistema giudiziario e carcerario americano, alla sua inadeguatezza, ai suoi lati oscuri, alle sue ipocrisie e contraddizioni; al suo essere superficiale nel prendere decisioni riguardo alle sorti di quelli che sono e rimangono esseri umani. La denuncia perciò si allarga alla contemporaneità, collocata nel contesto della società statunitense a sua volta sprofondata in una discutibile politica per l’appunto.
La goliardia dei primi episodi e delle prime stagioni quindi, in unione ai flashback che approfondiscono le vite dei diversi personaggi, ci fanno familiarizzare con le detenute; e trattandosi in generale di una serie tv veramente lunga (91 episodi), si crea un vero e proprio legame d’affetto nei confronti di queste donne per cui non si può fare altro che sostenerle sperando in una loro redenzione e in un succedaneo riscatto.
Sopra un lunghissimo binario di diritti e doveri, di vittorie e sconfitte personali, di slanci e mostri interiori, questo cammino di redenzione però sembra essere perennemente ostacolato dall’ingiustizia sociale la quale si eleva al pari di un muro invalicabile. Quindi chi, per un motivo o per un altro, nel corso della vita, imbocca la strada sbagliata, si ritrova per sempre incastrata in un groviglio di situazioni ingiuste che inquina l’esistenza stessa senza possibilità alcuna di liberazione in senso lato, dentro e fuori il carcere.
Si pensi alla stessa Alex Vause che, nonostante gli sforzi per garantirsi una vita migliore al di fuori, è costretta a spacciare all’interno del carcere a causa delle insistenti minacce di alcune guardie corrotte. Una sorta di contrappasso il suo, il sortilegio di una vita criminale passata che persiste ad assillarla, lasciando dietro di lei come una scia impossibile da cancellare.
Le detenute in sintesi rimangono macchiate durante, e persino dopo aver scontato, la propria pena. Ciò taglia la strada alla tanto conclamata e da molte perseguita redenzione. Eppure in tantissime la meriterebbero.
I personaggi infatti maturano una profonda crescita interiore per cui spesso persino i personaggi inizialmente detestati, diventano in seguito assolutamente adorabili. Prima tra tutte Tiffany “Pennsatucky” Doggett.
Dopo un fastidioso e delirante fanatismo religioso derivato probabilmente da un senso di colpa nei confronti dei numerosi aborti a cui si era sottoposta precedentemente alla reclusione, Pennsatucky, in carcere, si dimostra come una ragazza piuttosto dolce e manifesta inoltre un disturbo dislessico che sfida con ambizione nel tentativo di studiare e prendere un diploma.
Importante anche il caso di Tasha “Taystee” Jefferson, che, dopo aver vissuto in orfanotrofi e case-famiglia, viene sfruttata per le sue capacità di venditrice e coinvolta in traffici di droga per i quali viene arrestata. Durante la reclusione, lavora nella biblioteca della struttura federale e in seguito, in veste di segretaria, affianca Joe Caputo, uno dei gestori della prigione di Litchfield. La ragazza quindi è molto volenterosa nel tentativo di garantirsi in futuro una vita quanto più possibile normale.
Molte delle detenute diventano quindi dei veri e propri esempi di vita, non per i reati commessi naturalmente che in diversi casi sono anche gravissimi, ma per la testarda volontà di migliorarsi e guadagnarsi finalmente, ma inutilmente purtroppo, uno status.
Orange is the new black in sostanza è una serie tv tristemente attuale e miratamente rivoluzionaria che punta a risvegliare le coscienze dei telespettatori.
Dalla fruizione della serie derivano sorrisi, nonché lacrime soprattutto nel finale che mostra una panoramica delle detenute e dei personaggi secondari, nonché i toccanti saluti al pubblico e alla serie stessa da parte di tutto il cast.
Orange is the new black ha tra l’altro stravolto il concetto di serie tv, rendendo disponibile a Netflix l’intera stagione senza nessuna attesa settimanale, al contrario di quanto accadeva negli anni precedenti con i cosiddetti telefilm. Ne consegue l’attuale binge-watching, ovvero la maratona continua di molti o di tutti gli episodi di una serie tv.
E noi la maratona delle sette stagioni di Orange is the new black la consigliamo assolutamente e a questo punto proponiamo un significativo verso della meravigliosa colonna sonora che poi non è altro che una realtà di fatto travestita da invito: “Remember all their faces, remember all their voices.”
Ricordate tutti i loro volti, ricordate tutte le loro voci, dunque. Farlo infatti sarà del tutto naturale e conseguenziale alla visione della serie tv, dato l’alto carico emotivo di dinamiche e di personaggi che risulteranno impossibili da dimenticare.
Simona Barba Castagnaro