“Mafiosa? No, solo moglie”. Il ruolo della donna nei clan di ‘ndrangheta
4 min di letturaIl ruolo della donna nella criminalità organizzata: la tutela dei figli minori. Questo il tema del seminario che ha avuto luogo al Chiostro Caffè Letterario di Lamezia Terme
L’evento, organizzato dal Comitato Pari Opportunità del Foro di Lamezia Terme, è stato moderato dall’ avvocato Mariannina Scaramuzzino. Sono intervenute: l’avvocato Dina Marasco, presidente dell’Ordine degli avvocati del Foro di Lamezia; la dottoressa Luana Loscanna, giudice della sezione penale del Tribunale di Lamezia Terme e l’avvocato Angela Davoli, presidente del Comitato Pari Opportunità del Foro di Lamezia Terme.
Relatori: la dottoressa Gabriella Reillo, presidente della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro; in video-conferenza il dottor Roberto Di Bella, presidente del Tribunale dei Minori Di Reggio Calabria; il professor Emilio Gardini, docente in Sociologia Generale all’ UMG di Catanzaro.
A fare gli onori di casa, in una delle sue prime uscite pubbliche, il neoeletto sindaco Paolo Mascaro.
“Aprire tematiche così delicate e spinose al pubblico e non limitarle agli esperti del diritto”, queste le parole che hanno dato il via al dibattito.
L’identificazione della criminalità organizzata con un mondo rigidamente maschile e maschilista è un concetto ormai smentito dalla storia e dalle sentenze, più o meno recenti.
Se per anni il ruolo di mogli, madri, figlie e sorelle è stato ignorato anche e clamorosamente dalla magistratura (“Mafiosa? No, solo moglie”), ritenendo che queste dovessero essere ignare del “lavoro” svolto dagli uomini di casa o sempre costrette a sposarli per scopi familiari, oggi sappiamo (e avviene in misura maggiore) che le donne hanno saputo acquisire posti autorevoli e macchiarsi di crimini perseguibili senza operare discriminazione di genere.
Se il più delle volte nelle organizzazioni criminali di stampo mafioso la donna è sottomessa, in altri casi l’invisibilità della figura femminile è stata veicolata all’ esterno solo opportunisticamente.
Essere “figlia, moglie, sorella di” ne ha spesso determinato forza e indipendenza. E non dimentichiamo che la donna è il fulcro del mantenimento dell’organizzazione mafiosa: garantisce la nascita delle nuove generazioni e le educa.
E’ depositaria del codice mafioso, di quei disvalori che trasmette ai propri figli.
E’ il capitale sociale delle organizzazioni criminali, un soggetto ora professionalizzato- ha chiarito la dottoressa Loscanna.
Convive con il suo doppio ruolo: la sottomissione e la “possibilità di sostituzione” (del marito ad esempio). Non riceve un vero e proprio battesimo, eppure riveste un ruolo sostanziale.
Quelle che fino a poco tempo fa erano indicate dalla giurisdizione civile come “Maddalena”, “Marta” o “Non affiliata”, ora subiscono le stesse condanne, senza sconti, dei propri uomini.
C’è, però, un’altra faccia della medaglia.
I figli talvolta costituiscono la molla del cambiamento.
Lo spiega il dottor Di Bella, giudice di un piccolo Tribunale di frontiera, che con il progetto Liberi di scegliere strappa i minori alla ‘ndrangheta.
“Negli ultimi 25 anni il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha processato oltre cento poco più che bambini per reati di criminalità organizzata, di cui una cinquantina per omicidio o tentato omicidio, per conto di genitori ristretti in carcere. Di fronte a questi numeri non potevamo limitarci alle condanne.
La cultura di ‘ndrangheta non si sceglie, si eredita – ha continuato – e noi tentiamo di far vedere a questi ragazzi e alle loro madri che esistono altre possibilità.
Il carcere è un cimitero vivente, non una medaglia da mettere al petto.”
Lo hanno accusato di “fare deportazioni di minori”, nonostante si tratti di misure temporanee e cessino con la maggiore età. L’allontanamento dalle famiglie inoltre, è necessario per rendere efficace il provvedimento e tutelare gli operatori dell’antimafia, cosicché possano agire senza pressioni di alcun tipo.
“Dal 2012 adottiamo leggi civili di decadenza della responsabilità genitoriale. Solo nei casi estremi imponiamo l’allontanamento dei minori dal nucleo familiare e il loro inserimento fuori da Reggio Calabria.
Accade sempre più spesso che siano le madri a rivolgersi a noi, consapevoli di donare ai propri figli la libertà di scegliere. E in pochi anni, si è arrivati al trasferimento di sessanta ragazzi di varie età.”
Li definisce infiltrazioni o Erasmus di legalità.
Sotto gli occhi di tutti il successo del suo protocollo, che punta sulla formazione e l’istruzione.
A ringraziarlo oggi non solo i figli della mafia, ma anche i loro padri.
Da poco è uscito il suo racconto autobiografico, scritto a quattro mani con la più che nota sceneggiatrice Monica Zapelli, Liberi di scegliere, ovviamente.
Liberi sì, perché scegliere è sempre possibile.
Maria Francesca Gentile