Malattie croniche: sfida aperta e incompiuta
3 min di letturaLo scorso 27 aprile è stato ufficialmente presentato “in cronica attesa”, XV Rapporto Nazionale sulle Politiche della Cronicità. Ma, chi sono i malati cronici? E quali gli scenari per loro prefigurati?
Comunicato Stampa
Le malattie croniche rappresentano, oramai da molti anni, la prima voce di spesa nei bilanci dei servizi sanitari delle società occidentali, pur essendo – così come si continua a desumere dai rapporti ufficiali annualmente pubblicati – le uniche a non beneficiare di interventi strutturali e delle appropriate scelte politiche in favore della salute pubblica.
Alla base dell’espansione del fenomeno, rilevabile in tutte le società industrializzate, vi sono fattori ambientali (infezioni, tossicità da inquinamento, diffusione sempre più massiva di agenti allergizzanti, ecc.), errati stili di vita, ma anche mancanza di interventi pubblici mirati alla corretta gestione di elementi al di fuori del controllo dei privati cittadini.
Dal Rapporto 2017, alla cui elaborazione hanno partecipato più di 40 Associazioni rappresentative di oltre 100mila pazienti, si evince che circa il 40% degli italiani soffre al minimo di una delle tante malattie croniche, al primo posto delle quali sembra esserci attualmente l’ipertensione (17,1%), seguita dalla artrosi/artrite (15,6%) e dalle malattie allergiche (10,1%).
In realtà proiezioni epidemiologiche puntuali e dettagliate pubblicate già nel 2005 su prestigiose riviste scientifiche internazionali [The New England Journal of Medicine – 21 luglio 2005 num.3, vol. 353] evidenziavano che una persona su 5 presenta condizioni croniche multiple e che il 5% della popolazione presenta 4 o più condizioni croniche concomitanti, arrivando a richiedere, nei momenti di maggiore criticità, quasi l’80% dell’intero stanziamento destinato all’assistenza sanitaria pubblica.
Cifre che non possono lasciarci indifferenti e che, anzi, impongono delle riflessioni urgenti e non più procrastinabili.Necessita un progetto che sia fortemente ancorato al concetto della “interdisciplinarità”.
Nel senso che, proprio la complessità di patologie che non possono (differentemente dalle malattie infettive o dai traumi accidentali o dalle appendiciti) essere ricondotte al paradigma minimalista del nesso “causa-effetto”, richiede obbligatoriamente lo sviluppo di una capacità tutta particolare di trascendere i limiti convenzionali delle singole discipline.
Come dire che ai diversi specialismi non può più bastare l’acquisizione superficiale di nuovi linguaggi: per loro diventa indispensabile imparare a interagire e a lavorare in gruppo, ricercando una mediazione e una sintesi tra differenti apporti che non si configuri come mera sommatoria di conoscenze, ma come produzione di nuovi modelli di conoscenza.
In un ospedale tradizionale, qual è quello configurato per GLI ACUTI, questo procedimento non è materialmente possibile, per varie ragioni.
E però gli AMMALATI CRONICI, ancora oggi, non possono che utilizzare i percorsi e gli ospedali “per acuti”, con buona pace del Piano nazionale della cronicità staticamente fermo al palo. Per loro nessuna alternativa: come se tutti gli ammalati fossero acuti e i cronici fossero, in fondo, solo “acuti che durano più a lungo”. Errore inaccettabile dal punto visto dottrinale, amministrativo, gestionale e, soprattutto, etico.
Se alle parole non seguono fatti concreti,una cultura nuova verso i Malati Cronici dal tunnel non esce
Tempi lunghissimi per visite prenotazioni cure non sono più accettabili.
Bisogna investire fortemente nella prevenzione e nella ricerca. Il paziente, il malato in generale è prima di tutto una persona. Partiamo da qua. È il primo passo.
Giuseppe Gigliotti presidente comitato Malati Cronici del lametino
Giuseppe Marinaro coordinatore