Società della disinformazione e intelligence. Mario Caligiuri all’I.C. “Don Milani” di Lamezia
6 min di letturaLamezia Terme, settembre 2019. “Il ruolo del docente, le tecnologie, le neuroscienze e la scuola”, questi i temi affrontati da Mario Caligiuri, professore di Pedagogia della Comunicazione all’Università della Calabria , nel corso di formazione per i docenti dell’Istituto Comprensivo “Don Milani” di Lamezia Terme diretto da Francesco Vinci.
Società della disinformazione, eccesso di informazioni, intelligence, centralità culturale della pedagogia sono state le parole chiave di questo intenso e interessante excursus intessuto di rimandi e citazioni storiche, filosofiche e letterarie senza tralasciare la psicologia, la pedagogia e l’economia politica.
Partendo dalla sua esperienza di docente universitario e attingendo direttamente alla sua vasta rete di conoscenze e relazioni costruita in tanti anni di attività politica prima come sindaco di Soveria Mannelli e poi come Assessore alla Cultura della Regione Calabria, il prof. Caligiuri introduce i concetti di spazialità e temporalità per evidenziare le contraddizioni della società contemporanea che da una parte esibisce un aspetto di estrema frammentazione e di lacerazione del sapere, dall’altra – invece – appare capace di esprimere un abbraccio intenso e unitario, attraverso la “rete” viva e pulsante delle comunicazioni.
Tuttavia, la realtà si modifica così velocemente da non avere la capacità cognitiva di seguirla e le parole per descriverla. E a questo proposito cita lo studioso americano Arjun Appadurai autore del libro Scommettere sulle parole il quale espone la tesi secondo cui la crisi economica mondiale del 2008 che ha ridotto la ricchezza dei Paesi dell’Occidente derivi da un cedimento linguistico che si riflette in tutte le manifestazioni sociali.
La mancanza di strumenti per capire questa realtà in continuo divenire impatta anche sul mondo della scuola. Sono i docenti che, in qualità di pedagogisti, devono sperimentare dal vivo il confronto con gli studenti di oggi che Caligiuri definisce a “tre dimensioni”: fisica, virtuale e integrata. Il ruolo dell’insegnante, nell’epoca attuale, non è più quello di “dispensatore della conoscenza” ma di mediatore e di intellettuale che deve tener conto della metamorfosi in atto nella società e non ragionare in termini di continuità con il passato. Il docente rimane alla base del processo educativo, ma il vigente sistema dell’educazione risulta eccessivamente burocratizzato e legato allo sviluppo dell’economia mentre l’Unione Europea detta le competenze chiave come se fossero un modello replicabile in tutti i paesi senza tener conto delle singole specificità. Oggi ci si riferisce agli insegnanti come “progettisti della formazione”, “professionisti riflessivi”, “facilitatori educativi”, concetti legati alla pratica e non alla “visione” nella doppia accezione di visione del mondo e visione di sé. Rilevante è anche il basso livello di percezione sociale della categoria degli insegnanti “approssimativamente formati, inadeguatamente selezionati, sistematicamente non valutati” – dice ancora Caligiuri – e la questione controversa del “genere” dei docenti con una preponderanza del genere femminile in tutti gli ordini di scuola tranne che nelle università. A questo eccesso di “femminilizzazione” l’antropologa Ida Magli in Salvare l’Italia prima che scompaia attribuisce una serie di conseguenze tra cui la scarsa attitudine alla matematica degli studenti italiani forse perché insegnata da docenti di genere femminile. Certo è fondamentale per gli insegnanti possedere delle competenze tecnologiche per capire la mente nuova dei “nativi digitali” secondo la definizione coniata da Marc Prensky nel 2001 ma è altresì necessario avere basi di linguistica, di neurolinguistica, di genetica, di neuroscienze perché, come scrive Laurent Alexandre in La guerra delle intelligenze. Intelligenza umana contro intelligenza artificiale, la pedagogia è destinata a diventare una branca della medicina e non si può pensare di insegnare ignorando queste competenze. Urge, dunque, una riforma della cultura in grado di annullare questa separazione artificiale tra sapere scientifico e sapere umanistico ma questo presuppone una riforma del pensiero che richiede un approccio diverso alla realtà.
Il grande scienziato americano Stephen Hawking diceva che “Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza ma l’illusione della conoscenza” e Internet, ormai, con i suoi 2 miliardi di abitanti virtuali rappresenta la prima nazione al mondo. Connessi h24, consentiamo all’intelligenza artificiale, con le informazioni che noi stessi forniamo, di essere governati dagli algoritmi. Di fronte all’eccesso di informazione si sta registrando una inedita propensione a non apprendere e una tendenza ad essere manipolati. Scarse la capacità di sintesi e l’abilità di estrazione, si vive in superficie e per i giovani, ma non solo, si crea una sovrapposizione tra reale e virtuale. Qui si colloca lo spazio educativo o, come direbbe don Giussani, il “rischio educativo”, un interstizio breve che è sempre più complicato e noi non abbiamo gli strumenti per comprendere perché le conseguenze a lungo termine delle nuove tecnologie sui processi di apprendimento e sulle capacità cognitive non sono ancora note. I programmatori dei social media hanno come scopo quello di aumentare i like e i processi di acquisto. Costruiti secondo la logica dell’accumulazione di capitale, gli algoritmi servono a creare economia non ad ampliare le conoscenze o a rendere consapevoli gli utenti. E non va sottovalutata l’allarmante statistica sull’analfabetismo funzionale che, nel nostro Paese, colpisce il 4% di laureati e il 20% di diplomati. Dati noti da tempo a cui contribuiscono il progressivo abbassamento del livello d’istruzione e l’impoverimento lessicale dovuto anche all’omologazione culturale indotta dalla TV di massa. Gli studenti sono vittime di un sistema che, nonostante il facilismo che connota la formazione scolastico-universitaria italiana, non è in grado di fornire strumenti adeguati per interpretare la realtà. Questo ha generato un crescente disagio che si traduce in tristezza per il presente e incertezza per il futuro. L’epoca delle passioni tristi l’hanno definita, richiamandosi a Spinoza, gli autori dell’omonimo libro Miguel Benasayag e Gérard Schmit, due psichiatri che operano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza.
La principale emergenza educativa e quindi democratica, nell’accezione di John Dewey che vuole cittadini consapevoli e responsabili, è senza dubbio la disinformazione che diventa, oggi, per noi quello che Hegel definiva “lo spirito del tempo” ovvero la tendenza prevalente di una determinata epoca. Noi viviamo ormai nella società della disinformazione a causa di un sovraccarico cognitivo che non siamo in grado di gestire. Un’epoca di straordinario autoinganno che non dispensa conoscenza e verità ma dà solo l’illusione della conoscenza e la percezione della verità.
Come difendersi, allora, da questa bulimia informativa che satura la memoria, stimola comportamenti compulsivi, provoca disordini nell’attenzione, riduce la capacità di percezione della realtà (effetto scotoma) giocando sulla manipolazione delle parole (effetto annuncio) e delle immagini? Con un metodo che vale per tutti e che fornisce gli strumenti per orientarsi nel mare magnum delle informazioni sapendo discernere le notizie rilevanti da quelle inutili: l’intelligence – dall’etimologia latina inter-legere – ovvero la capacità di intercettare le informazioni utili basandosi sull’attendibilità delle fonti che possono essere aperte (disponibili per tutti), chiuse (che osservano criteri di riservatezza) e grigie (derivanti da vie trasversali e confinate in una sorta di limen).
Tuttavia la tecnologia non va demonizzata ma usata con parsimonia. Per dirla ancora con Spinoza “Non bisogna né ridere né piangere ma capire” e per capire bisogna informarsi, ricordando sempre che l’informazione non è né conoscenza né tantomeno saggezza ma una informazione utile può contribuire a fornire una corretta visione del mondo.
Grande soddisfazione è stata espressa dal dirigente scolastico Francesco Vinci e dall’intero corpo docente dell’I. C. “Don Milani” con l’auspicio – da parte del dirigente – che si possa avviare una fattiva collaborazione tra l’Università della Calabria e l’Istituto Don Milani da sempre avamposto di sperimentazione didattica sulle orme del grande priore di Barbiana.
Giovanna Villella