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Massimo Iritano a Lamezia Terme

3 min di lettura

Mentre Massimo Iritano parla,  tutta la storia, come un rotolo del Mar Morto, mi si svolge davanti. Incontro del destino.

Massimo Iritano, studi di estetica e di filosofia della religione, con tesi di laurea in Kierkegaard, stasera alla galleria Be Cause di Lamezia Terme ci parla di Gioacchino da Fiore, protagonista suo ultimo libro, edito Rubbettino.
Con tutto l’oro di Elena Diaco Meyer intorno, eleganza aurea che riluce e traluce  perfino nel mio gonnellone etnico, indossato ignara di abbinarmi così al tutto.

Il vuoto e la forma, la mente e l’astratto. Noi.
Noi nel 2015, Gioacchino mille anni fa.  Uguale nei millenni la tensione, lo studio, la voglia di leggere per capire, aprire verso un miglioramento in  un movimento perpetuo.
Mente è movimento,  facilitato dal vuoto, mi disse Elena, a suo tempo. Ed il movimento vuole spazio, e autonomia, quindi eresia.
Eresia, nel significato alto, ha come significato la  scelta consapevole.
Dall’abbazia di Corazzo a Pietralata e a San Giovanni in Fiore, rifiutando qualsiasi recinto che non fosse la sapienza, l’abate Gioacchino  vive nelle parole di Massimo, che ora ci sta mostrando le figure con cui il teologo riesce a dirci l’indicibile. Nella sua fede in una scrittura che oltrepassi secoli e strettoie, attraverso il porgere e  nel passaggio dall’arte come presentazione all’arte come segno, lui individua nel cerchio  e nel segno  il proiettarsi aldilà, il  dono che  gli studi debbano dare all’uomo per  esser padroni del loro pensiero, per essere umani senza ricchezze. Nella povertà Seguendo gli studi di Cacciari, di cui cita “ Doppio ritratto”, Iritano  attraversa la complessità di una storia situata ad uno snodo cruciale fra Scolastica e teoria gioachimita, fra conservazione ed innovazione, fra potere temporale e potere spirituale.
La proiezione di Gioacchino da Fiore, la profezia della terza età, avrebbe scardinato l’ordine che regge tuttora i  poteri forti e lo avrebbe lanciato verso  spinte idealiste verso fratellanza e povertà. Nella utopia impossibile di palingesi,  ricordo  chi si rifece a Gioacchino da Fiore:
« Guarda, i signori e i prìncipi sono l’origine di ogni usura, d’ogni ladrocinio e rapina; essi si appropriano di tutte le creature: dei pesci dell’acqua, degli uccelli dell’aria, degli alberi della terra (Isaia 5, 8). E poi fanno divulgare tra i poveri il comandamento di Dio: “Non rubare”. Ma questo non vale per loro. Riducono in miseria tutti gli uomini, pelano e scorticano contadini e artigiani e ogni essere vivente (Michea, 3, 2–4); ma per costoro, alla più piccola mancanza, c’è la forca. »
(Thomas Müntzer, Confutazione ben fondata, 1524)
Una difficile, se non impossibile applicazione di principi, che, forse solo  a San Francesco, pur con i limiti di una accettazione della regola, riuscì.
San Francesco e Gioacchino da Fiore dunque,  per noi uomini che, cavalcando mille anni ci ritroviamo a discutere sempre di un mondo  con  povertà abissale che allarga sempre di più la sua base  e con ricchezza stratosferica concentrata in strutture piramidali, continuano a parlarci di un mondo nuovo. Una terza età possibile.
L’età dell’oro.

Ippolita Luzzo

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