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Matteo Garrone, Ip Ip Urra’ per il Racconto dei Racconti

4 min di lettura

Essendo forma contratta del mio nome, Ippolita, Ip Ip Urrà è il mio gioioso applauso ad un film che ho visto in braccio a mia nonna, per sere e sere, nel Cunto de li cunti di Basile, trasposizione favolistica di tradizione orale più immaginario personale e che  ora  scorre sullo schermo. Tre favole…A che servono le favole? Perché si raccontavano?

Per allenarci alla perdita

Si narravano nelle favole avvenimenti truci e violenti, il male senza senso, il capriccio di una strega, di un bruto, di un re, a cui sottostavano ragazze giovanissime e bimbi incolpevoli. Tutti condannati ad una sorte terribilmente ingiusta. Un continuo spavento ripetevano le favole per allenare i piccoli al vivere, per temprarli. La realtà per quanto cattiva non avrebbe mai raggiunto simile aberrazione oppure quand’anche, si era allenati.

Rido e rido nel primo tempo, sorpresa che altri non ridano, come, al contrario,  nella scena iniziale,  tutti ridano ai giochi circensi e solo la regina sta con labbra serrate  e non ride.

Si scopre presto che lei non possa ridere perché soffre di una mancanza. Soggiace alla privazione e vuole, con ogni mezzo, riempire suo ventre. Rider non può.

Perché si ride? Di cosa si ride quando si ride.

Si ride se il pagliaccio cade, io non rido, si ride se un difetto fisico viene burlato, io non rido, non rido nemmeno alle barzellette sul sesso, sui carabinieri e sul governo. Mi mettono tristezza.

Rido e rido felice al film di Garrone “ Il Racconto dei Racconti” Tre cunti di Basile, tre storie, ambientate in Italia, e prendo  appunti. Ogni nascita presuppone una morte, per equilibrio nel mondo, dice la strega in nero, a me sembra un uomo, suggerendo come far nascere figlio alla regina. Nasce poi il figlio, anzi ne nascono due, identici, da due ventri diversi, e la regina inseguirà il suo, correndo,  nel labirinto di Donnafugata, senza mai raggiungerlo. Se non erroneamente. Scambiandolo. Nel gioco eterno del figlio scambiato.

Muri e muri si alzano fra gli uomini e realtà, Si innalzarono muri e non ce ne siamo accorti, continua a dirci, con Kavafis, Matteo Garrone,  scegliendo alte siepi, Gole dell’ Alcantara e muri di pietra, muri mentali  del desiderio.

La regina e il figlio, Il re e la pulce, e poi l’erotismo di Bataille, i corpi ubriacati per il piacere di un re che sposerà una vecchia con la pelle d’asino, pardon giovane.

Appunti sul film: tu pensi che quello che hai lo possiedi e lo possederai in eterno, pensi erroneamente che se ritorni giovane per un momento poi lo sarai per sempre. Dalla pelle vecchia alla giovane in un attimo e nello stesso attimo dalla pelle giovane alla vecchia. Solo un attimo. In un corpo che va per conto suo prigioniero di un sogno di possesso. Pensi di possedere un figlio, lo cerchi oltre ogni razionale e sensata condizione, lo cerchi nella morte e nel pulsare e poi e poi tuo non è. Così ci insegnano le favole I racconti di Basile sullo schermo di un immaginario teso fra le mura di Castel del Monte. Possesso possesso possesso.  Possesso di una pulce. Acari siamo. Giganteschi. Come la pulce del film. Come la pelle della pulce che esposta diventa l’asta con cui scegliere il destino della figlia del re. La pelle che isola e condanna. La pelle che capire tu non puoi… Ahah Mogol! La pelle di Curzio Malaparte. La pelle d’asino o diafana. La pelle che fa la differenza. Una pellaccia

Una possessione che filmica è. Nel film che scorre, tra passato e presente, onnipresente nelle nostre testoline più o meno strutturate a riconoscere simboli segni e significati di storia e spazi, costruzioni e rimandi, le favole antiche di un grande squallore, il nostro splendore

Il tempo della fiaba che scorre in ognuno di noi raccontando tutte le fiabe che ci aiutino a decodificare il tempo reale.

Un film che io  abito e torno ad abitare nel ballo finale a  Castel del Monte, con la principessa diventata regina, di ritorno e salva da un precipizio, da silenzi e terrori.

Nel ballo finale un filo si tende fra una torre ed un’altra. Il filo dell’equilibrio fra realtà e fantasia.

Ippolita Luzzo

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