Medea di Andrés Pociña dal Teatro Bertolt Brecht
3 min di letturaMedea è ormai invecchiata a Camariñas, nella Galicia.
Sulla scena del Teatro Grandinetti a Lamezia la Compagnia Bertolt Brecht di Formia propone una Medea che riscrive le storie del vello d’oro e del suo amore per Giasone. Dal testo di Andrés Pociña, un monologo accompagnato da suoni e danza per gli studenti degli istituti superiori che partecipano ai laboratori teatrali tenuti da Teatrop.
Inizia Medea della Compagnia di Formia, diretta da Maurizio Stammati, il monologo recitato da Margherita Vicario, la stagione Teatro Ragazzi 2016/2017.
Partiamo dunque dove si trova Medea ora, nella Galicia, nel Nordovest della Spagna, la regione di Santiago di Compostela. Siamo sulle rive di un fiume con le donne intente a lavare i panni e lei ricorda quando, da ragazza, abitava nella Colchide, sull’attuale costa georgiana del Mar Nero insieme a suo padre, il re Eeta. Un’altra Medea.
Immagina l’autore che Medea non sia ascesa al cielo, come vediamo in Euripide, ma si sia rifugiata in un villaggio con la sua vecchia serva, Benita, ormai bisognosa, lei, di cure.
Il punto di vista di una Medea, osteggiata dalle stesse donne al lavatoio. Donne che guardano di lato quando la vedono arrivare, donne che la fanno sentire ancora una volta straniera, come a Corinto. Donne che danno adito alle mezze parole, alle voci sul suo conto, e credute vere le calunnie diffuse sulle azioni malvagie che avrebbe fatto.
Una sola punizione le è stata risparmiata, quella di dover elemosinare.
Medea prova a raccontare la sua verità ed io insinuo che la verità non esiste e nemmeno ciò che stiamo ad ascoltare può essere la sua verità. L’unico momento vero sta in quella voglia di avventura, di sfuggire al luogo chiuso dove viveva per “una gran voglia d’amare” e dicendo così immagino io, non esiste sulla scena, Modugno cantare “Com’è bella l’avventura” ed un’avventura fu il viaggio nella Colchide di Giasone per prendere il vello d’oro, il montone e le pecore di una lana così pregiata, ed un’avventura fu per lei seguire Giasone, irretita dalle parole, fiumi di parole, promesse di mondi diversi.
“Il furto di una pecora e di un montone”così fu, secondo le sue parole l’avventura degli Argonauti. Riduzionista fino all’eccesso, Medea scredita ancora Giasone, come ogni donna scredita il marito che la tradisce, e racconta, come fanno (Ahimè!) molte mogli, particolari di una sfera che dovrebbe restare intima, e che nessuno può verificarne la verità. D’altronde la verità sta nel fondo di un pozzo, scrisse Sciascia, ed ognuno racconta quel che reputa lo sia, come strumento per far vendetta, per ritorsione.
Accompagnata dalle immagini lievi di un bianco lenzuolo ondeggiante e dal canto, Medea in scena dona corpo alle parole, si alza, si allunga, mostra il corpo come per voler ancora assicurarsi di esser piacente, di poter esser voluta, e poi deve fare i conti con il suo atto ultimo che non potrà negare, l’uccisione dei figli.
Qui mentre le protagoniste parlano alla fine con il pubblico.
Gli alunni del Liceo Classico, del Liceo Scientifico, dell’Istituto Tecnico Valentino De Fazio, Del Professionale per il Commercio, faranno tesoro di questa opportunità teatrale che regalerà loro punti di vista sempre diversi. Una nuova avventura.
Ippolita Luzzo