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Il miracolo di San Giuseppe: una fiaba bruzia…

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san giuseppe dipinto guido reni

Bruno e Cecilia vivevano felici nella loro famigliuola, finché la cattiva sorte si portò via la loro madre amatissima, una notte d’inverno, abbastanza tragicamente: folgorata da una saetta del cielo, mentre stava tornando a casa, con un grembiule carico di ortaggi, raccolti nell’orto vicino

Il padre pensò, dopo qualche anno, di convolare a nuove nozze, per affiancare ai figlioletti una presenza femminile, probabilmente con lo scopo di irrobustire un clima familiare, fermo a quella cappa di desolazione. Mariella, questo era il nome della donna, sembrò fatta per il caso suo: tutta attenta inizialmente nei confronti di ogni cosa, in fatto di pazienza, poi, sembrava averne da vendere.

Probabilmente era così, prima che nascesse Ginetta, una bimbetta talmente inquietante a vedersi, da far abbassare gli occhi a terra per la sua bruttezza.

Più pietrificante di Medusa, ahilei! Nel guardare la bellezza dei tratti umani dei suoi figliastri, la matrigna, immusonita ed inferocita, iniziò a covare dentro sé un odio che non ha eguali tra i sentimenti o risentimenti più  comuni: pensate che tormentò il povero marito a tal punto da incitarlo ad ammazzarli e tanto disse e tanto fece che, alla fine, quello, per accontentarla, un giorno accompagnò i suoi pargoletti in un bosco lontano lontano, dove nessuno poté vederli e ne tagliò le braccia per portarle come prova provata alla sua consorte. E loro!?

Abbandonati in un lago di sangue, non seppero cosa fare, piangendo dalla disperazione. Per fortuna comparve, in quella valle di lacrime, il nostro San Giuseppe: «Perché piangete, ragazzi!?», disse loro impietosito, mentre quelli, di tutta risposta, gli raccontarono tutta la loro storia.

A quel punto il buon Santo, portandosi più in avanti con essi, mostrò una sorgente di acqua viva, al cui contatto le ferite di ambedue cessarono di botto, fino a far germinare da esse la parte restante degli arti. Miracolo!!! E non fu il solo: Bruno si ritrovò agnello ai piedi della sorella, Cecilia, invece, inquilina di un palazzo incantato. Un giorno un re uscì per andare a caccia e si mise a piovere: non sapendo dove ripararsi, vide quella dimora come edificio ove mettersi al sicuro: San Giuseppe gli si avvicinò, lo aprì e lo fece salire.

Vedendo quella giovinetta tanto bella da appaiarsi ad una stella del firmamento, prese subito una cotta immediata, al punto tale da pensare che l’avrebbe sposata, se avesse avuto un celebrante accanto a sé in quel momento. Passò l’angelo e disse amen, come si dice dalle nostre parti: il rito nuziale ci fu ed in pochissimo tempo rispetto a questo piovoso incontro d’amorosi sensi.

In mezzo agli invitati c’erano pure la matrigna ed il padre dei due ragazzi, chiamati alla resa dei conti, senza saperlo. Il tribunale di corte, esaminati i fatti, li condannò alla pena di morte: una fornace ardente, accesa da tre giorni e altrettante notti, li bruciò vivi lì dentro come il tenero Martinello di San Francesco: solo che quest’ultimo, a Paola, risuscitò, mentre quelli, per converso, finirono nell’Inferno con tutte le loro scarpe.

S-carpe diem, alla rovescia, purtroppo per loro, mentre la principessa Ceci, come una dama leonardesca con l’agnellino (al posto del più classico ermellino, per licenza fiabesca!), visse felice e contenta per tutta la sua vita.

Prof. Francesco Polopoli

A Lina Latelli, amica eccezionale e studiosa d’eccezione, da cui attingo consigli e risorse per proseguire più consapevolmente i miei studia humanitatis.

PS: Preferisco consegnare e conservare la fiaba nella stesura originaria, per rammemorare lo stile di una penna giovinetta che, seppur non limata, conserva lo stesso fanciullino di fronte a quanto mi appassiona da sempre.

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