Speciale nuovo vescovo Lamezia monsignor Schillaci: cos’è un vescovo?
5 min di letturaOggi concludiamo gli articoli speciali di Storiapop legati all’arrivo del nuovo vescovo di Lamezia Terme parlando di cos’è e cosa fa un vescovo cattolico.
In occasione della consacrazione del nuovo vescovo di Lamezia Terme, monsignor Giuseppe Schillaci, avvenuta il pomeriggio di sabato 6 luglio sul corso Numistrano di fronte la Cattedrale dei santi Apostoli Pietro e Paolo, dopo aver ricordato due vescovi importanti della diocesi lametina e spiegato il rito di consacrazione episcopale, concludiamo questo ciclo di articoli speciali della rubrica Storiapop spiegando in parole semplici che cos’è e cosa fa un vescovo cattolico.
La parola vescovo deriva dal greco antico Episcopos e significa “sorvegliante”, cioè colui che controlla che le cose vadano bene. Nel caso del vescovo è colui che governa e guida una porzione del popolo di Dio detta diocesi (unità territoriale presa in uso dall’amministrazione statale del tardo Impero Romano). Il vescovo è a capo della diocesi in virtù del fatto che esso è un successore dei Dodici apostoli che seguirono la predicazione di Gesù Cristo. Un presbitero per essere consacrato vescovo ha bisogno della autorizzazione del Papa. Se questa autorizzazione non c’è, in automatico i consacranti e il consacrato vescovo sono scomunicati Late Sententiae.
Nella interpretazione cattolica l’episcopato è il terzo e più importante ministero istituito da Cristo, oltre al diaconato e al sacerdozio. Infatti tutti gli altri titoli che portano gli ecclesiastici cattolici (Arciprete, Monsignore, Canonico, Cardinale, Papa) sono solo titoli ma non ordini sacri. Quindi, ad esempio, chi è eletto Papa è Papa perchè prima di tutto è Vescovo di Roma.
Il vescovo ha piena podestà nella sua diocesi in virtù del Munus (potere) che dopo la consacrazione egli riceve per insegnare la dottrina cattolica (munus docenti), di conferire al popolo di Dio tutti e sette i sacramenti (munus sanctificanti) e quello di governare il popolo di Dio a nome del suo Vicario in terra, cioè il Papa (munus regendi).
Al vescovo ci si rivolge chiamandolo Eccellenza Reverendissima.
Leggi tutti gli articoli di Storiapop
I vescovi, così come i presbiteri e i cardinali, a norma del Codice di Diritto Canonico a 75 anni vanno in pensione, a meno che il Romano Pontefice non decida diversamente, concedendo una proroga di governo. Un vescovo in pensione è detto vescovo emerito. I vescovi possono essere ausiliari, cioè di aiuto al vescovo che regge una diocesi molto grande o coauditori, cioè che affiancano il vescovo di una diocesi che sta per andare in pensione con il diritto di subentro automatico. I vescovi si dividono in vescovi residenziali e vescovi titolari. I primi hanno il titolo e governano una specifica diocesi, i secondi invece hanno solo il titolo ma non governano una diocesi in quanto semplicemente quella diocesi non esiste più (è una diocesi soppressa).
Gli Arcivescovi sono vescovi come gli altri, ma si distinguono perchè governano una diocesi metropolita, cioè una diocesi che è a capo di più diocesi più piccole. Di solito gli arcivescovi hanno un paramento liturgico in più rispetto ai semplici vescovi, il Pallio, che consiste in una specie di collare fatto di lana di pecora avente disegnato delle croci, consegnato direttamente all’arcivescovo dal Papa e che simboleggia il legame profondo fra la sua diocesi e il Sommo Pontefice. Il titolo di Arcivescovo può essere ad personam, cioè che il vescovo di una semplice diocesi può fregiarsi a titolo personale di Arcivescovo (che può concedere in determinati casi solo il Papa).
I vescovi cattolici che adottano la liturgia ortodossa e gli stessi Ortodossi chiamano i loro vescovi Eparca, la diocesi quindi si chiama Eparchia e li appellano col titolo di Beatitudine.
I vescovi nella loro diocesi hanno piena potestà di governo, cioè le loro decisioni finali sono vincolanti. Ma nel governo della diocesi il vescovo è aiutato da alcuni organismi consultivi quali il Consiglio Presbiterale e il Collegio dei Consultori. Il primo organismo è formato da presbiteri e diaconi scelti dal vescovo, da presbiteri per diritto in virtù dei loro ruoli (Vicario generale, Cancelliere di Curia, ect) e presbiteri eletti da altri presbiteri, oltre che da rappresentanti degli Ordini religiosi diocesani, dei diaconi e dei laici, mentre il secondo è invece un organismo collegiale che si occupa della gestione finanziaria della diocesi. Gli uffici specifici di ogni aspetto della diocesi (pastorale sanitaria, comunicazioni sociali, liturgia, sostentamento clero, ect) che formano la Curia Vescovile sono retti da presbiteri – direttori nominati dal vescovo. Questi organismi sono sorti dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) che ha imposto il governo collegiale nella Chiesa Cattolica.
Prima del Concilio l’unico organismo, sempre consultivo, del vescovo era il Capitolo della Cattedrale, i cui membri, tutti scelti dal vescovo fra i presbiteri che reputava più preparati e meritevoli, assumevano il titolo di Canonici, i quali si dividevano a loro volta in Canonici dignitari (cioè legati ad una dignità quali Decano, Arcidiacono, Cantore, Penitenziere, Primicerio, Arciprete, Teologo, ect) e soprannumerario (cioè aggiunto). Ogni Capitolo aveva uno Statuto interno e gestiva delle rendite specifiche per il mantenimento dei canonici. Essi servivano quindi sia come “consulenti” nel governo della diocesi e sia per rendere la liturgia presieduta dal vescovo più solenne. Oggi sopravvive solo la seconda funzione.
I vescovi di una specifica area geografica (regione, nazione) sono riuniti nelle Conferenze Episcopali, dove si elegge un presidente e ogni vescovo assume l’incarico di un determinato settore della pastorale. Una volta il vescovo più importante di una regione/stato era il Primate, di solito il vescovo della diocesi di più antica fondazione. Oggi sopravvive solo come titolo onorifico, come anche il titolo di Patriarca.
M. S.