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Moreno Torricelli e la sua storia, esempio per i giovani: questa Lega Pro mi piace

4 min di lettura
Moreno Torricelli

La sua storia è talmente bella e incredibile che non ci si stanca di rileggerla o di riscriverla, come lui di raccontarla anche se è trascorso tanto tempo: ma a quanti capita di passare dalla Caratese in Serie D alla Juventus con cui vincere una Champions League?

E di lasciare il lavoro nel mobilificio di Carate Brianza per firmare il suo primo contratto professionistico a 22 anni con la Juve?

La carriera di Moreno Torricelli, classe 1970, terzino che prediligeva giocare a destra ma si adattava a tutti i ruoli in difesa, è una sorta di favola a lieto fine da raccontare ai ragazzini che sognano di sfondare nel calcio. Lui dell’umiltà e del sacrificio ne ha fatto le basi che non ha mai dimenticato e che lo portarono lontano: “E’ importante credere nei propri sogni e lavorare per questo. Ci vuole anche un pizzico di fortuna per farsi trovare pronti al posto giusto nel momento giusto ma per farlo bisogna anche allenarsi quotidianamente e migliorare”.

Sottolinea come sia importante la formazione, compito essenziale e primario della Lega Pro: “La Serie C è una scuola basilare, il miglior contesto per imparare: non solo per i giocatori ma anche per i dirigenti, gli arbitri e gli allenatori. Me ne rendo conto costantemente, perché sono in contatto con alcuni dei miei ex compagni della Caratese che ora lavorano nel Renate. Il lavoro di formazione va seguito, potenziato. Credo che dovrebbero esserci più seconde squadre, è un lavoro di sinergia con i club più blasonati. Le Under 23 possono far lievitare tutto il movimento, dare slancio, creare interesse e portare più spettatori allo stadio.

In questo modo ne beneficiano tutti. Io ho giocato anche in Spagna e lì le seconde squadre sono una realtà che ha contribuito per molto tempo alla crescita”. E’ un campionato che apprezza molto, quello della Lega Pro: “Ci sono tante piazze prestigiose. Anche questo può aiutare il giovane calciatore a formarsi e a farsi esperienza. Che emozione ritrovarsi a giocare in certi stadi, per esempio, conoscerli per la prima volta”. Gli piace il pallone Connector e, soprattutto, l’idea di rilancio che passa attraverso il segnale del calcio che va avanti. “In un Paese come il nostro dove si mangia pane e pallone, è importante il messaggio positivo di uno sport che riprende e ritorna verso la normalità, nei limiti del possibile, che prova a ripartire. Quindi forza Connector che connette il Paese e forza calcio”.

A proposito di Covid-19 e del blocco dice: “Ogni momento particolare della vita ci lascia e ci insegna qualcosa. Io ho approfittato della famiglia e ho cercato di mettere da parte lo stress per vivere con tranquillità, senza fretta”.

Quella fretta che ora reputa eccessiva nei settori giovanili: “Rispetto ai miei tempi trovo che non ci sia più pazienza per far maturare un ragazzo, sia come giocatore che come uomo. Ora si vogliono immediatamente i risultati e i giovani non hanno il tempo necessario per imparare. Questo è un aspetto fondamentale. Come deve esserlo il senso di appartenenza al gruppo. Perché aiuta liberarsi dall’egoismo e a sacrificarsi di più per gli altri. Sapere stare in squadra significa anche questo ma soprattutto aiuta nella vita”:

Ricorda benissimo i suoi inizi: “Nella crescita è fondamentale essere seguiti e trovare la persona che può consigliarti. Io a 17 anni giocavo in Promozione. Mi chiamò la Nazionale Dilettanti ma il presidente del club non voleva che rispondessi alla convocazione perché temeva che mi facessi male. Giuliano Agazzi, il direttore sportivo, mi accompagnò nonostante il parere contrario del presidente. Era un’occasione importante per me”. L’uomo del destino si chiama poi Giovanni Trapattoni: “Gli sarò eternamente riconoscente. Ha creduto in me e mi ha lanciato, anche se la Juventus aveva già tanti giocatori forti. Eppure lui mi ha offerto questa possibilità e mi ha fatto crescere”. In sei anni di Juve (1992-1998) vinse tutto tra cui 3 scudetti, la Champions contro l’Ajax nel 1996 e 1 Coppa Intercontinentale. Poi ha giocato nella Fiorentina, nell’Espanyol, concludendo nell’Arezzo.

Oggi racconta la sua storia bella e incredibile girando nelle scuole italiane come ambasciatore di ‘Allenarsi per il futuro’, progetto di Bosch Italia con Randstad che lotta contro la disoccupazione giovanile. E quando può gioca ancora a calcio. Corre sempre sulla fascia? “Si ma un po’ meno….”.

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