Nicola Misasi, il “Giovanni Verga” di Calabria
5 min di letturaScrittore di scuola verista, giornalista e professore “per chiara fama” Misasi oggi è considerato un classico della letteratura calabrese.
Nicola Misasi nacque a Cosenza (altre fonti invece dicono a Paternò, sempre nel cosentino) il 4 maggio 1850 da Francesco Saverio, ispettore carcerario e Giuseppina De Angelis, in una famiglia della piccola borghesia provinciale. Discolo e ribelle fin da bambino, Misasi ebbe problemi disciplinari a scuola, tant’è che fu espulso dal liceo Bernardino Talesio nel 1862, sicchè Misasi si formò una solida cultura autodidatta leggendo a casa avidamente autori eterogenei, dai calabresi a quelli a lui contemporanei italiani e stranieri quali i francesi Émile Zola e Honorè de Balzac, gli scrittori e filosofi calabresi Domenico Mauro,Vincenzo Padula, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Valentino Gentile, i grandi autori romantici come Hernest Heine, Frederic Schiller e G.G. Byron.
Nel frattempo mise su famiglia sposando nel 1874 Concetta Galati, figlia di un noto avvocato di Monteleone (oggi Vibo Valentia). Riprenderà gli studi regolari solo a trent’anni (1880).
Misasi giornalista, romanziere, docente
L’esordio letterario di Misasi avvenne con la pubblicazione di due raccolte poetiche che non ebbero successo. Per svecchiare la sua cultura provinciale e in generale per uscire fuori dalle ristrettezze culturali dell’ambiente natio decise nel 1880 di trasferirsi a Napoli, dove, grazie al fortuito incontro col giornalista Martino Cafiero Misasi ebbe la possibilità di pubblicare alcune sue prime novelle sull’allora Corriere del mattino (oggi Il Mattino) che ben presto gli permise di collaborare con altre testate giornalistiche partenopee dove pubblicò, stavolta con successo, numerose novelle e romanzi a puntate di ampio gradimento popolare.
A Napoli conobbe importanti scrittori quali Matilde Serao (di cui fu molto amico), Edoardo Scarfoglio e Salvatore di Giacomo. Consumatesi l’esperienza partenopea, Misasi decise di trasferirsi a Roma su invito dell’editore Antonio Sommaruga per collaborare ai suoi giornali Il Fanfulla della domenica e Cronaca bizantina dove già scrivevano letterati che diverranno fra i più importanti di questo periodo quali Gabriele D’Annunzio, Antonio Fogazzaro, Luigi Capuana e Giovanni Verga.
Da Capuana e Verga Misasi ne apprezzò lo stile letterario naturalista e verista, sicchè con questo stile letterario pubblicò le sue tre opere più famose (fra le tante pubblicate) quali Racconti Calabresi (1881), Magna Sila (1883) e il romanzo Marito e Sacerdote (1883).
Il distacco con la Calabria terminò quasi subito.
Infatti nel 1884, pur non avendo titoli accademici, fu nominato “per chiara fama” (lo consentiva la legge Casati del 1859, art. 69) professore di letteratura italiana presso il liceo Gaetano Filangeri di Monteleone Calabro (oggi Vibo Valentia), città natale della moglie che morirà nel 1886. Misasi si risposerà nel 1892 con la cosentina Amalia Filosi con la quale si trasferirà a Cosenza ove otterrà d’insegnare presso il liceo da cui fu espulso da ragazzo, il Bernardino Telesio, fino al 1915.
Fissò la sua residenza a Cosenza che però lasciava periodicamente per l’attività di conferenziere in Italia (Milano, Firenze, Napoli, Roma) e all’estero (Tirolo, Svizzera, Tunisia).
Misasi ebbe un successo editoriale clamoroso sopratutto fra gli emigrati nelle Americhe, sicchè strinse collaborazioni con prestigiosi giornali sud americani quali Fanfulla di San Paolo del Brasile, La Patria degli Italiani di Buenos Aires e Il Progresso italo-americano di New York (su quest’ultimo scriverà anche il poeta del Reventino Michele Pane)
La poetica di Misasi
Misasi è considerato dalla critica letteraria un tardo verista.
Protagonisti delle sue novelle e dei suoi romanzi è una Calabria popolata da contadini, pastori e briganti aventi un senso promitivo di giustizia ed onore, descritti minuziosamente anche nei costumi e nelle tradizioni, in cui traspare un senso di forte nostalgia del Misasi per quelle epoche ormai anche per lui passate, dando alle sue opere un sapore sì realistico non solo da un punto di vista storico ma anche etnografico.
Anche la natura e il paesaggio calabrese sono protagonisti nelle vicende narrate dal Misasi, sopratutto la Sila, proscenio prediletto dove ambientare le vicende raccontate con molti riferimenti romantici (e pesantemente idealizzati) in cui agiscono non solo brutali briganti e ignoranti contadini ma anche ingenue e innocenti fanciulle da conquistare o da difenderne l’onore con un pathos da commedia greca.
Misasi abbonda nello descrizione minuziosa di luoghi, feste, riti popolari, inserendo anche termini dialettali (che spesso italianizza) o poesie e filastrocche tipiche dell’entroterra cosentino per far esprimere meglio alcuni concetti ai suoi personaggi o l’uso dei soprannomi, tipici per identificare nelle piccole comunità isolate della Calabria l’appartenza familiare o qualche cartteristica esclusiva di qualcuno.
Ma come molti autori meridionali Misasi non lesina di utilizzare, spesso impropriamente, termini aulici estranei al linguaggio popolare dei suoi personaggi quali latinismi, francesismi o termini di chiara provenienza toscana o addirittura dantesca quasi a legittimare la sua opera anche oltre i ristretti confini calabresi, cadendo così spessissimo in una prosa ridondante che ne appesantisce la scorrevolezza nella lettura e quindi una sua immediata comprensione, sopratutto oggi, mentre all’epoca della loro pubblicazione essendo il suo pubblico fondamentalmente di fascia popolare poco scolarizzata, fu apprezzato per il realismo delle descrizioni e delle vicende narrate, sopratutto grazie all’uso massiccio della narrazione basata sulla prima persona (è Misasi che narra le vicende e fa comprendere l’accadere degli eventi usando moltissimo il dialogo fra i personaggi da lui introdotti da lunghe descrizioni).
La presenza di molti errori di grammatica e di sintassi non favorirono però il suo successo presso la critica letteraria a lui coeva, che quasi unanimamente lo stroncò, tranne il filosofo e storico partenopeo Benedetto Croce che ne apprezzò la scrittura definendolo “poeta verista della Calabria”.
Misasi può essere considerato anche uno storico e filosofo dilettante in quanto ha scritto opere quali, fra le tante, Cronache del brigantaggio (1893), Il castello di Corigliano (1893), L’assedio di Amantea (1893), Massoni e carbonari (1899) e Commemorazione di Francesco Fiorentino (1885).
La morte e il ricordo postumo
Sovraggiunta la pensione nel 1915 Misasi si ritirò a vivere nel piccolo paesino fuori Cosenza, San Fili, dove resterà fino al 1922 quando, per restare vicino ai suoi figli, ritornerà a vivere a Roma dove morirà il 23 novembre 1923. Nonostante Misasi non era fascista, l’allora Presidente del Consiglio Benito Mussolini ordinò i funerali di Stato per Misasi che si celebrano a Cosenza, dove ancora oggi le sue spoglie mortali risposano.
Oggi Misasi è quasi del tutto sconosciuto, sia in Italia che in Calabria, nonostante, come già affermato, è da considerarsi un autore classico della letteratura calabrese. Alla ristampa periodica delle sue novelle più importanti e alla attività convegnistica, Misasi è ricordato sopratutto dalle vie a lui intitolate a Castrovillari, Praia a Mare, Trebisacce e Montalto Uffugo (nel Cosentino), Lamezia Terme, Taverna e Catanzaro (nel catanzarese) mentre Cosenza gli ha intitolato un Istituto Comprensivo e una piazza mentre la sua Paternò la Biblioteca Comunale.
M.S.