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«Nnè addùra nnè ffeti!» Il Limbo in un proverbio lametino: anche questo c’è!

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Letteralmente «è uno che né odora né tantomeno puzza»: si dice, così, degli individui che assumono un atteggiamento indefinibile, quasi sospeso, che non si sa se lodare o biasimare

Costoro costituiscono quel numero sterminato di ignavi che il Padre della nostra letteratura italiana relega, sprezzantemente, nel vestibolo dell’Inferno.

«Questo misero modo
tegnon l’anime triste di coloro
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».

(Inf. III, vv. 34-42)

Una nuance della predetta locuzione lametina si ha quando si dice di uno che «᾿unn’è nnè ccarni nnè ppisci» («non è né carnè e né pesce», insomma!). Il campo semantico è il medesimo: “non avere un’identità ben definita” significa “essere insignificante, anonimo, banale, mediocre” e, di conseguenza, “non avere personalità”. Non esserci, potremmo concludere, cioè esistere da ectoplasmi, se dovessimo usare il lessico della parapsicologia, o da larve, alla luce del minuscolo mondo animale o da lemuri, nello scomodare un po’ di classicità. Che tristezza, questa realtà anodina!

Prof. Francesco Polopoli

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