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Ntoni, Ntoni, Patantoni…

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patatine fritte

«I patati shànu bòni» è la restante frase idiomatica di continuazione

Il tutto, in italiano, è esprimibile nella seguente espressione: «Antonio Patatone…le patate sono buone».

A ben vedere è un gioco ritmato sulla regina della tavola squisitamente declinato al genere maschile.

Non sappiamo che tipo di piatto piacesse alla persona succitata: di certo, la breve filastrocca lo apostrofa come «patataru». Meglio questo che «vajanaru»: in quel caso, infatti, sarebbe stato parente di Pinocchio, che introduco en passant solo per nobilitare le sue bugie.

Non c’è da meravigliarsi, poi, dal momento che è un alimento che continua a far impazzire tutto il mondo: in alcune nazioni, addirittura, è menù fisso sia a pranzo che a cena, per non dire del peccato veniale di alcuni nostri santi del panorama ecclesiale europeo.

Udite, udite: le prime patatine fritte sarebbero state spagnole e a inventarne la ricetta sarebbe stata Teresa d’Avila. Lo sostiene un professore di storia dell’arte belga, Paul Ilegems, che cita una lettera che la pia donna, canonizzata e santificata, inviò nel 1577 alla madre superiora di un convento di Siviglia, ringraziandola per aver inviato “patatine, ventriglio e sette limoni” (e anche del vino “molto buono”).

Insomma, una delizia della cucina, cui nessuno osa rinunciare, occupa la nostra letteratura vernacolare: il gusto della buona forchetta si accompagna alla sapienza popolare “scandita” da versicoli rimati ma mai “scondita”, questo mai!

Prof. Francesco Polopoli

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