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NUOVE SUFFRAGETTE (o dell’importanza di scindere l’uomo dalla sua opera)

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Si sa -anzi, chi scrive lo sa da sempre- che il Cinema non è soltanto la Settima Arte, ma anche e soprattutto un attento, preciso e lucido indicatore di quanto accade nella nostra realtà, indicatore molto più affidabile di un qualsiasi Tg o di un striscia qualunque. Se ora scrivo House Of Cards, o faccio il nome di Weinstein, chi legge a cosa pensa? Esatto, ciò che sembra sulla bocca di tutti, l’argomento che fa sentire tutti più “sociale” e su cui chiunque sente di dover dire la sua: ma la rivoluzione delle nuove suffragette riporta ad un sistema sociale e culturale molto più ampio, una sche(r)matura universale e universalmente accettata.

IL SISTEMA

Un agghiacciante sistema di “predatori e vittime”, si affrettano a dire tutti: dimenticando che la vastità e la portata dell’argomento non si può limitare alla constatazione di una giungla di città, perché il tema è lo statuto del potere, un indicatore politico -soprattutto nel senso ampio di polis- con schierate in prima fila le combattenti contro quest’ordine pure simbolico ma così vetusto, economico e sessuale. Il binomio che viene da Hollywood, ovvero produttore/starlette, quella agghiacciante normalità dell’uomo sprezzante al comando, ha finito di essere la normalità, e ha scoperchiato un vaso di Pandora che con i suoi venti ha spazzato via le maschere mostrando che in gioco c’è l’appropriazione indebita di corpi, una sorta di biodominio sulla vita stessa assurto a sistema.

E attenzione alle parole (che come sosteneva Nanni Moretti “sono importanti”): non si parla di libertà sessuale, ma di abuso di potere.

Non si tratta di un’ondata maccartista al femminile, non è una controffensiva puritana.

Occorre spalancarli, gli occhi, e accorgersi che parlare “solo” di sesso è favorire Weinstein e compagnia bella, felici di annegare in un mare di peccatori nella confusione fra violentatori e molestatori, boss e seduttori impotenti. E occorre capire che questa cronaca disturbante è un proclama contro i trafficanti di esseri umani che allungano le mani sulla mercanzia e ne trattano il prezzo, senza bisogno di essere in Libia.

E detto questo, tracciamo anche un’altra linea con un grosso MA.

CREATORE E CREAZIONE

Perché se quel sistema va spazzato via, se quel modus operandi deve essere cancellato, il rischio -anzi no, è già successo quindi il pedaggio da pagare è stato che l’alta marea ha travolto uomini, artisti e criminali, ma quel che è più grave anche la loro opera d’ingegno, le loro creazioni, buona parte insomma dell’Arte del Novecento. E allora, diventa urgente difendere Roman Polanski, i film di James Toback e le interpretazioni di Dustin Hoffman, le opere di chi ha sbagliato nella vita ma che tra una molestia e un’altra magari creava qualcosa di importante, giusto, fondamentale. Diventa non più urgente ma fondamentale distinguersi dalle major, americane e italiane, che puniscono l’ “atteggiamento inappropriato” cancellando uomo e artista, confondendo creatore e creazione. Capofila oggi sembra di nuovo Roman Polanski (e ringraziamo ogni divinità che non si sia rispolverata la questione, vecchia ma pur sempre di successo nelle chiacchiere da bar, su Woody Allen e la sua figlia adottiva ora sua moglie): che attenzione, non è MAI stato incolpato dai tribunali americani di stupro, perché si è reso invece colpevole di “rapporto sessuale con minorenne” che si presume per legge non consapevole ma consapevole, per sua stessa ammissione, lo era per quanto lo poteva essere. Ripetiamolo: è l’artista a condurre una vita spregevole e a commettere atti impuri, non la sua opera. E’ lui a dover essere punito, non lei.

(n.b.: trova l’ “errore”, nella locandina sotto….)

Dobbiamo dire addio a Toy Story e alle sue animazioni capolavoro perché Lassater ha dispensato “abbracci indesiderati”? Non vedremo mai più Rapsodia per un killer di Toback? Quella che si sta attuando, l’onda lunga di quanto detto sopra, che come una piaga da oltreoceano si è allargata anche da noi colpendo film minori ma che pur sempre hanno avuto un regista (chi ha detto Poveri Ma Ricchissimi?), è una vera e propria ritorsione aziendale, economica e monetaria.

CRIMINE E PUNIZIONE

Ripetiamo anche questo, e impariamolo a memoria: il film -come opera d’arte- non appartiene più al suo autore, è opera aperta e riguarda il mondo. L’impeto artistico, alto o basso che sia, va e deve andare oltre il suo creatore, perché altrimenti il rischio è che il vento forte che soffia da quel vaso di Pandora di sopra, aperto da queste nuove suffragette, annulli l’effetto delle rivelazioni, e addirittura faccia passare in secondo piano l’evento da cui è scaturito. Che la punizione diventi autonoma e fatto a sè stante, slegata dall’atto. E che quindi facilmente si travisi il crimine commesso.

Come sta succedendo: a Kevin Spacey, uomo e gay. Quindi doppiamente punito (dagli etero e dai gay stessi), letteralmente raschiato via dalla storia del cinema e dai suoi film. E che invece noi rivogliamo indietro.

GianLorenzo Franzì

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