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Olgiata: 25 anni fa si consumava il celebre delitto della contessa Filo della Torre

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Esattamente venticinque anni fa, presso una lussuosa villa dell’Olgiata, Roma, si consumava il noto omicidio che prese il nome dall’esclusivo quartiere capitolino nel quale accadde. Una contessa, una villa e un domestico. Il più classico delitto d’estate che scatenò per anni ogni sorta di intuizione e congettura da parte di criminologi, investigatori e giallisti. Fu nella mattinata del 10 luglio 1991 che la contessa Alberica Filo della Torre, moglie dell’ingegnere Pietro Mattei, fu trovata senza vita nella sua camera da letto.

delitto-olgiata Quella sera stessa, nella villa dell’Olgiata era in programma una cena per festeggiare i dieci anni di matrimonio tra la contessa e il Mattei. L’esame autoptico accertò che la donna morì per soffocamento dopo essere stata malmenata e percossa alla testa con uno zoccolo. Alcuni gioielli rubati fecero pensare subito a una rapina finita male, ma nessuna pista fu preferita rispetto a un’altra.

Caratterizzato da tutti gli elementi tipici del giallo estivo, il caso attirò l’attenzione dei media che non rimasero lungi dal creare fantasiose interpretazioni e romanzesche alterazioni dei fatti. Gli inquirenti puntarono la lente d’ingrandimento su una baby-sitter inglese e su due domestiche filippine che lavoravano nella villa, e su un cameriere filippino, Manuel Winston Reves, che era stato al servizio della famiglia fino all’aprile di quell’anno, ma che ora lavorava presso un’altra casa nei paraggi. Il gruppetto di aiutanti raggiunse le posizioni di vertice nella lista degli indiziati, quando spuntò fuori un altro personaggio, tale Roberto Jacono, trentenne dalla personalità disturbata, di casa presso un centro d’igiene mentale, e stretto amico della vittima. Testimoni affermarono d’aver visto il giovane aggirarsi per il giardino della villa la mattina del tragico evento essendo stato contattato per aiutare gli operai impiegati nei preparativi della festa che avrebbe dovuto aver luogo quella sera stessa.

La tesi del furto sfociato in omicidio rimase la più plausibile, ma questa fu, praticamente, l’unica certezza in mano agli inquirenti. Testimoni e deposizioni poco credibili, nessun movente accertato, smentite, depistaggi e confusi indizi che fecero pensare a un collegamento con il caso di Via Poma accaduto sempre nella Capitale l’anno precedente, coinvolgimenti da parte del SISDE, un telefono cellulare saltato fuori nel 2010, lasciarono gli addetti ai lavori in una fitta nebbia. Il caso diventa un cold case, un vero mistero all’italiana per vent’anni fino a quando, nel 2011, un esame più approfondito accertò che un reperto organico, trovato su un lenzuolo in camera della contessa Filo della Torre, combaciava pienamente con il Dna di Manuel Winston Reves, il domestico filippino. L’uomo, rintracciato e interrogato dopo due decenni, ammise la sua colpa confermando di aver commesso l’omicidio a scopo di rapina e d’aver venduto i gioielli rubati a un ricettatore. «Ho portato questo peso per vent’anni» dirà dopo l’arresto. Il Winston Reves fu condannato a sedici anni, ma dal 2015 gode della semilibertà.

Antonio Pagliuso

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